Caracas è più pericolosa della Siria
La devastazione del Venezuela socialista, descritta dallo Spectator (3/2)
“'Uccido gente!' mi dice Elanger rispondendo candidamente alla mia domanda su cosa faccia per vivere”. Esordisce così, sullo Spectator, un pezzo del cronista freelance Jason Mitchell. “Dalla comodità di casa mia nel Regno Unito, sono riuscito a mettermi in contatto, attraverso i meandri di Facebook, con qualcuno che sta scontando diciannove anni di prigione in Venezuela per duplice omicidio. Il paese sudamericano ha alcune tra le più famose prigioni del mondo. All’interno di una di esse, Elanger è riuscito a entrare in possesso di un Samsung Galaxy S5 Neo. Attraverso Facebook, ho la possibilità di sbirciare dentro a questo mondo alieno. E’ un mondo che offre molti spunti di riflessione sul mastodontico disastro politico che è diventato il Venezuela. Dico a Elanger che sono un giornalista britannico e gli chiedo quali siano le condizioni all’interno del carcere. ‘Perché non ti fai gli affari tuoi, se sai cosa è meglio per te’, mi rimbecca in spagnolo. La sua presenza sinistra mi raggiunge a più di 4.600 miglia di distanza. Con Elanger mi arrendo, ma inizio a chattare con un altro galeotto, di nome Fernando, 38 anni, molto più collaborativo. Ha passato nove anni nella prigione di Valencia, la terza città del paese, per esser stato coinvolto in un rapimento. ‘Lo sai, vero, che è più sicuro stare dentro che fuori?’ mi chiede. ‘Le strade della città sono davvero pericolose’. Non ha tutti i torti.
Stando al sondaggio di Insight Crime, l’anno scorso in Venezuela ci sono stati oltre 26.600 morti violente: 89 ogni 100.000 persone (a Londra, per dire, lo stesso dato è 1,6 ogni 100.000). Soltanto le zone di guerra come la Siria e la Somalia sono più pericolose. Le prigioni, però, non sono esattamente delle case sicure. Tra il 1999 (quando Hugo Chávez, l’idolo socialista di Jeremy Corbyn, diventò presidente) e il 2014, il sistema carcerario del paese ha registrato 6.470 omicidi. Fernando mi fa vedere l’interno del suo carcere tramite il suo smartphone. La prima cosa che noto sono le urla e le grida che si sentono in sottofondo. Resistere per nove anni (o anche di più) in un ambiente del genere senza impazzire dev’essere un miracolo. Volgo dunque lo sguardo alle pareti del carcere e noto che sono coperte di scritte rosse e nere. Dentro al carcere, però, Fernando almeno ha da mangiare: ‘Ieri sera ho mangiato petto di pollo e riso. E’ molto meglio di quanto molte altre persone in libertà riescano a mettere sotto i denti’.
Su questo punto, ha ragione. Il Venezuela sta patendo una drammatica crisi di malnutrizione, che il governo non vuole ammettere. Nel 2016, il 74 per cento della popolazione ha perso, in media, 8,7 chili a testa e un terzo dei 31 milioni di abitanti del paese consuma meno di due pasti al giorno. Gli chiedo cosa pensa di Maduro. ‘E’ un animale. Che razza di mostro lascerebbe morire di fame il suo popolo in questo modo? I venezuelani sotto il suo regime sono passati dall’essere cittadini all’essere schiavi’”.
Un Foglio internazionale
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