Patrick Tuttofuoco ritratto da Phil America

fauna d'arte

La città come scultura vivente, nei neon di Patrick Tuttofuoco

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

Lo spazio urbano, un "luogo in cui i desideri individuali e collettivi si intrecciano, spesso in conflitto, è una materia da scoprire nel suo continuo movimento". L'esplorazione dell’arte come pratica relazionale e strumento per abitare la complessità del presente

Nome e cognome: Patrick Tuttofuoco

Luogo e anno di nascita: Milano, 1974

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L'intervista

Quali sono i tuoi riferimenti visivi e teorici?

Il mio sguardo si forma in una costellazione di linguaggi che spaziano dall’arte concettuale alla scultura ambientale, ma si nutre profondamente anche del design radicale italiano, in particolare del lavoro di Ettore Sottsass, Vico Magistretti e di quella stagione in cui progetto, linguaggio e visione utopica si intrecciavano in modo potente. Allo stesso modo, il cinema di quel periodo — capace di unire riflessione formale e tensione politica — ha lasciato un’impronta forte nel mio modo di pensare lo spazio e la narrazione. Mi interessa anche il cinema di più ampia diffusione, quando riesce a generare visioni profonde e stratificate, a volte in modo quasi inconsapevole. A livello teorico, torno spesso a testi che mettono in discussione la centralità dell’umano e aprono prospettive ecologiche e relazionali, come quelli di Donna Haraway, Rosi Braidotti, Tim Ingold o Anna Tsing.

  

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Uno spazio di ascolto e di soglia. Più che un luogo di produzione, è un campo di attenzione. Può essere ovunque, a volte anche una passeggiata, una conversazione, una zona liminale della città.

  

   

Che ruolo gioca, per te, lo spazio urbano come “materiale” del desiderio?

Lo spazio urbano è un dispositivo vivo: assorbe, restituisce, deforma. È il luogo in cui i desideri individuali e collettivi si intrecciano, spesso in conflitto. Per me è una materia da scoprire nel suo continuo movimento, più che da progettare. Cerco di intercettarne i vuoti, le tensioni e le possibilità poetiche.

  

Qual è la funzione dell’arte oggi?

Non credo esista una funzione univoca. L’arte può essere uno strumento di disarmo, una forma di riparazione, una provocazione o un rito. In ogni caso, dovrebbe aprire spazi — reali o simbolici — in cui pensare, sentire e stare insieme in modi altri.

  

L’arte può ancora essere uno spazio per la contemplazione contro l’accelerazione imposta dalla contemporaneità?

Sì, ma solo se non viene usata come rifugio anestetizzante. La contemplazione non è inerzia: è uno sguardo che scava, che prende tempo, che resiste alla semplificazione. Alcune opere, alcuni gesti, ci costringono ancora oggi a fermarci — ed è lì che accade qualcosa.

   

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

È stato un processo graduale, non una scelta netta. Ho iniziato ad avvicinarmi all’arte come tentativo di creare dei ponti tra discipline, tra esperienze personali e contesti collettivi. Prima di frequentare l’Accademia, ho studiato architettura, e quel passaggio ha informato profondamente il mio modo di pensare lo spazio e la forma. È stato un cambiamento all’inizio quasi spontaneo, non pienamente progettato, ma col tempo quella dimensione multidisciplinare che aveva caratterizzato il mio percorso è diventata l’origine stessa del mio lavoro. Ogni volta che una domanda non trovava risposta, cercavo di tradurla in un gesto, in una forma.

 

A che cosa stai lavorando?

Sto lavorando a un intervento pubblico su due ciminiere dismesse, che usa l’altezza come punto di vista e di ascolto. Parallelamente, sto sviluppando un progetto su alcuni oggetti-soglia: elementi che appartengono al passaggio, alla sospensione, alla trasformazione — come tende, scale, luci, specchi.

 

In che modo le tue opere cercano di promuovere una comunicazione più profonda tra individuo e ambiente?

Cerco sempre di mettere l’individuo in una condizione di ascolto attivo, spesso attraverso l’uso di materiali che riflettono, risuonano o guidano lo sguardo. L’ambiente non è mai solo uno sfondo, ma un agente con cui negoziare. Le opere cercano di generare una zona di relazione tra corpi, presenze e contesto.

 

Com’è organizzata la tua giornata?

Non ha una struttura rigida. Alterno momenti di immersione nello spazio — camminare, osservare, incontrare — ad altri dedicati alle faccende quotidiane, che per me hanno un valore importante.

Sono momenti che riconnettono, che sedimentano, che creano una distanza fertile dal lavoro stesso. Una parte significativa del mio tempo la passo in studio, che è uno spazio condiviso, abitato da persone con cui ho un legame umano e progettuale forte. È lì che prende forma anche Specific, il progetto che porto avanti insieme ad Andrea Sala, Alessandra Pallotta, Nic Bello, Stefano D’Amelio, Martina Ferrari e Gabriele Bianchi. Lo studio non è solo un luogo di produzione, ma una zona di scambio, di ascolto e di condivisione. Quelle dinamiche, spesso informali, sono parte integrante del mio modo di lavorare.

    

Le opere

   

Patrick Tuttofuoco, Velodream, 2001

10 veicoli a pedali, tecnica mista dimensioni variabili

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

  

 

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Patrick Tuttofuoco, Revolving Landscape, 2006

acciaio, tessuti dimensioni variabili

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

  

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Patrick Tuttofuoco, Jacob, 2009

acciaio verniciato, plastica, ceramica sintetica, vernice spray 120 x 120 x 250 cm

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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Patrick Tuttofuoco, Marissa and Augustus, 2016

acciaio verniciato, stampa inkjet su pvc, ceramica 210 x 150 x 260 cm

photo Andrea Rossetti

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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Patrick Tuttofuoco, Inland, 2018

installation view at Tenuta I Campiani, Brescia, Italy

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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Patrick Tuttofuoco, ZERO (WEAK FIST), 2018

Installation view all’Arco di Augusto, Rimini, Italia

photo Luca Ghedini

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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Patrick Tuttofuoco, Drop the Body, 2021

acciaio supermirror e neon cm 240 × 180

photo Andrea Rossetti

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

  

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Patrick Tuttofuoco, Freddy Boy, 2021

neon, acciaio 210 × 140 × 20 cm

photo Andrea Rossetti

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

  

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Patrick Tuttofuoco, Awaken, 2022

Installation view at PALAZZOIRREALE acciaio, resina, neon

photo Flavio Pescatori

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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Patrick Tuttofuoco, Il Resto dell'Alba, 2023

neon, acciaio

photo Alessandro Minoli

Courtesy of the Artist and Federica Schiavo Gallery

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