Artemisia Gentileschi, Giaele e Sisara, 1620, Museo Szépmuvészeti, Budapest (Wikimedia Commons)

Artemisia e tutte le altre bellezze che i mesi a occhi e musei chiusi ci hanno rubato

Francesco Stocchi

Mostre rimandate o che non riapriranno. Van Eyck, Tiziano, scoperte mancate e rimpianti once in the life

Questi giorni di riapertura che vestono il sapore di una tarda fioritura primaverile, è tutto un proliferare di visioni sul futuro, previsioni e opinioni. Usciti, sembra, per ora, da un presente sospeso che unito a un’incertezza diffusa ha trovato nell’immaginazione i nostri strumenti di difesa (meglio la realtà del sogno che scenari fantascientifici reali), l’attenzione, mista ad ansia, verte su cosa sarà. Idee per il dopo, il presente può ancora aspettare. Si discute su che faccia ha il futuro dopo la crisi, su com’è il mondo che sarà. Si prova a immaginare cosa ci aspetta, raccomandandoci a non sprecare questa catastrofe e ripensare la nostra società con quesiti di natura biblica: saremo persone migliori, l’umanità avrà capito e imparato “la lezione”?

 

In questo vuoto temporale di un futuro in modellazione e un presente più evanescente del solito, percepito quasi come un intruso nelle nostre vite, può essere utile guardare indietro a un passato che ci è stato sottratto per chiederci, invece di cosa succederà, cosa non è successo? Cosa sarebbe stato se? In ambito culturale definito da un calendario sempre più fitto, che mostre ci siamo persi e quali si recupereranno? E ne vale la pena? Cosa non ha più senso mostrare e cosa invece verrà percepito in modo diverso una volta, finalmente presentato? Un esercizio di decomposizione quale preludio alla prossima graduale ricomposizione.

Attraverso il mondo, ogni museo ha subito un arresto e uno sconvolgimento quando si tratta di mostre temporanee, spesso dipendenti da prestiti a breve termine di opere di valore. Chi aveva appena aperto una mostra preparata da anni, chi era in procinto di inaugurarla, chi invece ha potuto a fermarsi in tempo. Varie le condizioni e variabili le reazioni di fronte alla necessità.

 

La Galleria Borghese di Roma ha rimandato l’apertura prevista del 29 aprile di “Caravaggio: Il Suonatore di liuto”, mostra che associa in un unico ambiente sei dei suoi Caravaggio con prestiti di due delle sue versioni del Suonatore di liuto, tra cui quella custodita presso l’Ermitage di San Pietroburgo, dipinto per il cardinale Benedetto e il marchese Vincenzo Giustiniani. Così la Galleria Borghese presenta la straordinarietà della mostra “Saranno riunite ben otto opere che offrono l’eccezionale circostanza di attraversare tutta l’esistenza di Caravaggio, dalla prima opera certa presente in collezione, il Bacchino malato, fino all’ultima che aveva con sé prima di morire. È prevista una seconda tappa al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo ma sicuramente per una mostra di tale richiamo e valenza scientifica si trova sempre posto e possibilità organizzativa, soprattutto data la centralità intorno due singole opere. Per le date si attende che riaprano i confini della Russia.

 

Per una mostra che non è partita, una che si è interrotta ben prima di quanto lo meritasse. A Bergamo, presso l’Accademia Carrara la pregevole Tiziano e Caravaggio in Peterzano è svanita nel nulla, impossibile pensare a una proroga anche a causa di una insostenibilità economica dovuta alla chiusura improvvisa. La mostra presentava 64 opere tra cui vari inediti di Simone Peterzano, allievo di Tiziano e maestro di Caravaggio. Figura poco nota la cui rassegna offriva un’indagine sulla pittura tra il ’500 e il ’600 e tra la pittura Veneta e quella Lombarda. Un’occasione persa a metà per lo studio di una figura poco nota e chissà se e quanto bisognerà attendere per una sua riproposta. A proposito di Tiziano, una mostra unica, Tiziano: Love, Desire, Death alla National Gallery di Londra, ha dovuto allo stesso modo chiudere improvvisamente, in questo caso dopo meno di una settimana di apertura. Difficilmente si ripeterà, Once in a lifetime si sentiva dire. La mostra presenta la sensibile e sensuale interpretazione dell’artista dei miti classici di amore, tentazione e punizione, opere che Tiziano stesso amava chiamare le sue “poesie”. Nel 1551, il principe Filippo di Spagna, il futuro re Filippo II, commissionò al pittore più famoso d’Europa la produzione di un gruppo di dipinti che mostravano miti classici tratti principalmente dalle “Metamorfosi” di Ovidio. Per la prima volta in oltre quattro secoli la mostra riunisce tutti e sei i dipinti della serie, mai più visti insieme da quando furono nel salotto del principe Filippo per intenderci. Vediamo divinità i cui volti mostrano emozioni molto umane e molto riconoscibili: colpa, sorpresa, vergogna, disperazione, rimpianto, sentimenti non dissimili da quelli che vediamo per strada in questi giorni. La mostra andrà in tournée a Edimburgo, Madrid (in una forma leggermente diversa) e Boston, anche se i tempi nei quali si viaggiava per vedere una mostra sembrano ora lontani.

 

C’è invece chi enfatizzando l’evento unico, ha definito la mostra Van Eyck: An Optical Revolution “only once”, un fatto unico al di là dell’esperienza di vita, irripetibile anche per chi come un albero può vivere 500 anni. La pala di Gand non avrebbe mai dovuto lasciare la Cattedrale di San Bavone, soprattutto dopo gli innumerevoli furti occorsi nei secoli (prima Napoleone, poi i nazisti, etc.). Approfittando di un restauro, certi pannelli sono stati concessi in prestito per la più grande esposizione dell’opera di Van Eyck mai realizzata. La città di Gand ha dedicato un anno intero alla celebrazione dell’artista, quindi, il 13 marzo, il museo ha dovuto chiudere la mostra a meno della metà della sua durata. Il rinvio o l’estensione di una mostra può essere un incubo logistico che coinvolge estensioni di prestito, costose assicurazioni e problemi con altre mostre in programma. Ma per una mostra irripetibile, quella annunciata e poi cancellata presso il Kunst-Historiches di Vienna, Titian‘s Vision Of Women: Beauty–Love–Poetry, avrebbe ancora senso proporla? Sempre Tiziano, ma il taglio della mostra porta nel dopo pandemia un urgenza diversa da renderla ora rinunciabile, forse. E a Vienna l’attore Christoph Waltz doveva dirigere l’opera Fidelio di Beethoven nell’ambito delle celebrazioni per il 250esimo anniversario. Sarebbe stata rappresentata al Theater an der Wien, dove l’opera fu presentata per la prima volta. Tutte e sette le esibizioni sono state cancellate e sopravvivono solo come documentazione cinematografica. Se pensiamo al femminile non tanto alla sua rappresentazione ma la sua presentazione, in queste interruzioni, riprese a singhiozzo e cancellazioni c’è anche spazio per rivendicazioni e denunce di ingiustizie.

 

C’è chi ha notato che l’inizio dell’anno nel Regno Unito era stato dominato da mostre di artisti uomini: McQueen e Warhol alla Tate Modern; Beardsley e il barocco alla Tate Britain; Picasso e Spilliaert alla Royal Academy; Tiziano appunto e Nicolaes Maes alla National Gallery; Hockney e Beaton alla National Portrait Gallery. L’attesissima mostra di Artemisia doveva annunciare una serie di mostre che vedevano le donne come protagoniste. Le aperture della mostra della fotografa sudafricana Zanele Muholi alla Tate Modern e della pittrice britannica Lynette Yiadom-Boakye alla Tate Britain sono state rimandate, poiché le gallerie della Tate sono chiuse almeno fino al 1 giugno. La mostra della pittrice svizzera Angelica Kauffman in programma il 27 giugno presso la Royal Academy of Arts, è stata invece definitivamente cancellata. Una delle prime, maggiori artiste europee, Kauffman ebbe una carriera senza precedenti come pittrice e ritrattista, prima di trasferirsi a Roma nel 1782, dove il suo studio divenne il fulcro della vita culturale della città. Una carriera insolita per un’artista femminile tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

 

Ma l’annuncio forse più amaro è il rinvio della mostra di Artemisia Gentileschi, che avrebbe dovuto aprire ad Aprile presso la National Gallery di Londra. Una mostra seguita e sviluppata da lungo tempo, annunciata per la prima volta nel 2018 quando il museo svelò l’acquisizione dell’autoritratto di Artemisia come Santa Caterina d’Alessandria (1615-17). L’opera è stata oggetto di una propaganda nazionale, andando in un tour nel Regno Unito in luoghi insoliti tra i quali anche un ambulatorio medico e una prigione, prima di dover occupare uno dei punti salienti della mostra. Un’occasione di consacrazione internazionale sia di critica che di pubblico rimandata per un artista che dichiarava: Mostrerò alla Vostra Illustre Signoria ciò che una donna può fare. Un’altra occasione di scoperta per molti, di consacrazione per altri, era la mostra del grande scultore greco Takis presso il museo delle Cicladi di Atene, cancellata a causa dell’improvviso blocco totale dei voli. L’artista è morto lo scorso agosto, non ha avuto una grande mostra nel suo paese dal 1995, quindi la prima esposizione postuma era molto attesa. Le opere d’arte avrebbero dovuto essere restituite entro ottobre e le prossime mostre, programmate con tre anni di anticipo, non potevano essere spostate. Necessità di calendario appunto.

 

Altre cancellazioni mostre di rilievo che rimpiangeremo non poter aver visto riguardano Cézanne: The Rock and Quarry Paintings presso la Royal Academy of Arts di Londra. La specificità del taglio curatoriale rende la mostra speciale, ben al di là del proprio soggetto (le pietre): dalla metà del 1860 fino a poco prima della sua morte nel 1906, Paul Cézanne dipinse circa 27 tele con le pietre come soggetti principali. Tra i paesaggi più straordinari dell’artista, la mostra esplorava il carattere e lo sviluppo di 15 di queste opere dove il fascino romantico o pittoresco di un paesaggio insolito si confrontava con i celebri dipinti e le molteplici variazioni del Mont Sainte-Victoire. La mostra è rimasta al Princeton University Art Museum da dove sarebbe provenuta, ora interrotta e dove si cerca di prorogarla. Ma per una mostra che si proroga, una si perde e si tratta di un altro sguardo lenticolare come in Basquiat in the Studio: The Blue Ribbon Paintings, prevista per il prossimo ottobre e ufficialmente posticipata a data da destinarsi. Incentrata su un notevole gruppo di 11 dipinti del 1984 che rappresentano la piena maturità di Jean-Michel Basquiat. In questa serie di opere senza titolo, esposte solo una volta e ora conosciute come i “Blue Ribbon”, l’artista americano ha sviluppato una modalità di lavoro con la serigrafia su tela che sintetizzava una serie di tecniche e processi artistici, tra cui il collage, il disegno, la poesia e la pittura. Il direttore del museo James Steward ha motivato così la sua scelta: “L’idea di allestire una mostra Basquiat da più di un milione di dollari quando i nostri studenti potrebbero non essere qui per trarne beneficio e ricevere insegnamenti da essa, sembrava una priorità sbagliata”. Alla Royal Scottish Academy, il fulcro della programmazione è la mostra annuale che è stata spostata interamente online, così come l’interessante personale dal taglio retrospettivo di Charles Atlas presso ICA di Milano. La vita pubblica del progetto è avvenuta sui social media lasciando al pubblico di immaginare come sarebbe stata la percezione fisica della denuncia sociale dell’artista (con punte di ottimismo in epilogo).

 

Tornando quindi in Italia, erano annunciate grandi rassegne che non abbiamo potuto vedere ma che potremmo visitare quanto prima, con sguardo e attenzione sicuramente diversi. A Venezia, presso Palazzo Grassi, la Fondazione Pinault aveva previsto una mostra speciale su Henri Cartier-Bresson, fotografo ubiquo nel nostro immaginario del XX secolo. Il merito della mostra è quello di aggiornare lo sguardo intorno al gruppo “Master Collection” che il fotografo stesso selezionò. In uno sforzo sia introspettivo che retrospettivo, Cartier-Bresson selezionò quelle che giudicava le sue 385 fotografie più significative. Questo distillato d’autore è stato messo nelle mani di figure disparate e autoriali come la fotografa Annie Leibovitz, il regista Wim Wenders, lo scrittore Javier Cercas, incluso il padrone di casa e collezionista François Pinault che propongono la loro visione personale del fotografo francese che a tutti appartiene. Sempre a Venezia, più attiva al di fuori dei mesi di Biennale di quanto si pensi, la Fondazione Prada ha dovuto posticipare forse all’anno prossimo Stop Painting, mostra curata dall’artista svizzero Peter Fischli che indagava con tono seriamente giocoso (così come fanno i bambini quando giocano, sono molto seri) la ricorrente crisi della pittura. C’è un’ultima mostra da segnalare che è stata sì interrotta, ma solo per ora. Sempre presso la Fondazione Prada, a Milano questa volta, la retrospettiva di Domenico Gnoli, artista che nascondeva nei dettagli un’immagine di fertile creatività. Una pittura silenziosa, anti narrativa che ha saputo trarre dall’illustrazione il mondo dei dettagli degli oggetti, senza lasciar segno delle sue pennellate. Sospeso tra il Pop, l’iperrealismo e la metafisica, la mostra è l’ultima a firma di Germano Celant che come i grandi conoscerà i fasti dell’opera postuma.

 

Questo isolamento che ci ha privato del contatto fisico tra di noi, con le cose, un contatto libero con il mondo, ha prodotto una condizione e delle conseguenze di ordine spirituale, non logico e immaginativo. In tempi difficili secondo Charles Dickens “sono la fantasia e l’immaginazione a rendere felici, e non i fatti e i calcoli”. Un gioioso rinnovamento di ogni cosa invece che l’attitudine al dubbio e all’incertezza verso tutto.

Di più su questi argomenti: