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L'illusione Landini spiegata dall'AI

Un’Italia ferma, ingiusta, cattiva con i deboli? Perché i lavoratori non si difendono contro la crescita

L’intervista di Maurizio Landini pubblicata su Repubblica è un esempio perfetto di sindacalismo che ha smesso di descrivere la realtà per limitarsi a interpretare il malessere. Il governo “colpisce solo i deboli”, l’economia va verso la recessione, il lavoro è sacrificato alle imprese, la soluzione è lo sciopero generale. E’ un racconto coerente, ma profondamente sbagliato. E soprattutto pericoloso per i lavoratori che dice di voler difendere.

 

Il primo problema è l’idea, ripetuta come un dogma, che esista un conflitto strutturale tra crescita e tutela del lavoro. E’ una tesi che poteva forse reggere negli anni Settanta, ma che oggi è semplicemente smentita dai fatti. I paesi che proteggono meglio salari, occupazione e welfare sono quelli che crescono di più, producono di più, esportano di più. Dove la produttività aumenta, i salari reali possono aumentare. Dove la produttività ristagna, come in Italia da vent’anni, nessuna retorica redistributiva può evitare l’impoverimento.

 

Landini parla di “regali alle imprese” come se gli incentivi fossero un furto ai danni dei lavoratori. E’ una visione ideologica che ignora una realtà elementare: senza investimenti non c’è lavoro, senza lavoro non c’è salario, senza salario non c’è tutela. Demonizzare l’impresa significa dimenticare che l’80 per cento dei lavoratori italiani lavora nel settore privato. Non in astratto, ma in aziende che devono competere, innovare, stare sul mercato. Se queste aziende perdono produttività, i lavoratori non diventano più forti: diventano più fragili.

 

C’è poi l’equivoco sulle pensioni, trattate come terreno di pura giustizia morale. Landini rifiuta qualsiasi discussione sull’equilibrio del sistema, come se parlare di sostenibilità fosse un tradimento sociale. Ma un sistema pensionistico che ignora demografia, aspettativa di vita e carriere discontinue non tutela i giovani: li condanna. Difendere davvero i lavoratori significa dire una verità scomoda: senza crescita e senza più occupazione stabile, le pensioni future non si difendono con gli slogan, ma con riforme serie.

 

Il punto più rivelatore, però, è l’idea di sindacato che emerge dall’intervista. Un sindacato centralizzato, uguale per tutti, che diffida della contrattazione decentrata e dell’adattamento ai territori e ai settori. E’ una scelta identitaria, non pragmatica. Eppure l’evidenza è chiara: dove la contrattazione aziendale e territoriale funziona, i salari sono più alti, la produttività cresce, il conflitto diminuisce.

 

Lo sciopero generale, presentato come risposta necessaria, è l’ultimo rifugio di questa impostazione. Ma uno sciopero che non distingue tra chi cresce e chi no, tra chi investe e chi delocalizza, tra settori dinamici e settori in crisi, non rafforza il lavoro: lo omologa verso il basso. Visto con lo sguardo di un’intelligenza artificiale il messaggio di Landini appare per quello che è: una narrazione redistributiva senza base produttiva. Un’idea di tutela che prescinde dalla creazione di valore. Ma nella realtà economica del 2025 i lavoratori non si difendono contro la crescita: si difendono grazie alla crescita. Non si proteggono bloccando il cambiamento, ma governandolo. Non si rafforzano con la demagogia, ma con più produttività, più competenze, più contrattazione intelligente. Il vero rischio non è che il governo “colpisca i deboli”. E’ che una parte del sindacato continui a raccontare ai lavoratori che il problema è il mercato, quando il problema è restarne fuori.