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Ambientalismo contro ambientalismo
Perché il futuro dell’ecologismo europeo passa da uno scontro. Un dialogo immaginato dall’AI
Conservatore: Partiamo da un fatto che viene rimosso: l’ambientalismo europeo sta perdendo consenso. E non perché le persone non capiscano il problema climatico, ma perché troppe politiche verdi vengono vissute come punitive, astratte, calate dall’alto. Quando la transizione viene raccontata come una sequenza di divieti e scadenze, senza spiegare come si vive nel frattempo, la reazione è inevitabile.
Progressista: Il problema dell’ambientalismo non è essere troppo radicale, ma esserlo a metà: annunci svolte epocali e poi, appena il consenso scricchiola, arretri. Così non guidi il cambiamento, lo rinvii.
Conservatore: Ma la politica è fatta di consenso, non di testimonianza. Se la transizione ecologica viene percepita come una perdita netta – meno lavoro, meno mobilità, più costi – verrà respinta. Non per cattiveria, ma per istinto di sopravvivenza sociale. Tu chiami tutto interessi, ma spesso è vita quotidiana: il furgone dell’artigiano, la bolletta della famiglia, l’auto per andare al lavoro.
Progressista: La vita quotidiana non è una giustificazione per non decidere. E’ esattamente il motivo per decidere. Il clima non è un tema che puoi mettere in pausa perché la gente si arrabbia. E non è vero che l’ambientalismo sia solo divieti: è anche investimenti, infrastrutture, innovazione. Ma servono scelte nette, non messaggi ambigui.
Conservatore: Scelte nette? Bene. Vuoi davvero dire a milioni di europei che in pochi anni devono cambiare casa, auto, abitudini, filiere produttive, e che se protestano sono moralmente colpevoli? Perché questa è la musica che sentono. E quando la transizione diventa un giudizio morale sulle persone, diventa invisa.
Progressista: Il giudizio morale lo fai tu quando dici che chi chiede cambiamento ‘rompe la società’. La società si rompe da sola se continuiamo così: siccità, eventi estremi, crisi energetiche, migrazioni, instabilità. Nessuno dice ‘siete colpevoli’, si dice ‘siamo in ritardo’. Che è un fatto.
Conservatore: E io ti rispondo con un altro fatto: le transizioni energetiche non avvengono per conversione morale, ma per convenienza. Avvengono quando le alternative diventano migliori, più economiche, più affidabili. Se trasformi la transizione in una penitenza collettiva, crei una guerra culturale che finirà per bloccare tutto.
Progressista: La guerra culturale esiste già. E’ tra chi vuole una transizione vera e chi vuole una transizione cosmetica. Continuare a rifugiarsi nella tecnologia come soluzione neutra è una forma di fede. Senza scelte politiche, la tecnologia viene piegata allo status quo: si finanzia ciò che consente di continuare come prima.
Conservatore: Prendiamo l’esempio più concreto: l’auto. Per anni si è raccontato che nel 2035 finisce il motore termico e basta. Poi arriva la realtà: infrastrutture insufficienti, costi, filiere, dipendenza da batterie e materie prime. E improvvisamente si scopre che servono ibride, range extender, carburanti alternativi. Questo non è tradimento: è politica adulta che corregge l’ideologia.
Progressista: E’ politica pavida che non regge l’urto. Se non fai una scelta chiara, nessuno investe davvero sul nuovo. Le filiere restano incerte, i produttori rimandano, i consumatori rimandano. E alla fine la transizione non accade. La gradualità diventa immobilismo.
Conservatore: Tu hai una visione molto lineare: fissiamo una data, e il mondo si adegua. Ma il mondo non funziona così. Il tuo ambientalismo rischia di essere urbano e benestante: chi vive in periferia e ha un’auto vecchia non può essere trattato come un nemico del pianeta.
Progressista: E il tuo ambientalismo rischia di essere una difesa elegante dei privilegi: si invoca la ‘periferia’ per non toccare nulla. Se davvero ti interessa la giustizia sociale, allora fai politiche redistributive nella transizione, non diluisci la transizione.
Conservatore: Eccoci al punto: tu chiami ‘diluire’ ciò che io chiamo ‘rendere possibile’. Perché se vuoi accelerare, devi portarti dietro la società. Se la transizione viene vista come un progetto contro qualcuno, perde. E perde non per un dettaglio: perde politicamente, e quindi climaticamente.
Progressista: Ma l’ambientalismo non può essere ricattato dal consenso. Se ogni volta che qualcuno protesta si fa un passo indietro, governerà sempre la paura. E intanto la finestra si chiude. Preferisci perdere qualche voto oggi o perdere la possibilità di contenere la crisi domani?
Conservatore: E’ una falsa alternativa. Si può ridurre molto senza trasformare tutto in una crociata. Per esempio: efficienza energetica seria, reti, innovazione industriale, ricerca, adattamento. Ma tu vuoi anche la conversione culturale, e lì inizi a perdere la gente.
Progressista: Non demonizzo la crescita, demonizzo l’ipocrisia. L’Europa vuole essere ‘verde’ ma anche ‘competitiva’ senza scegliere strumenti adeguati. Vuole regole altissime ma investimenti timidi. Vuole leadership morale ma dipendenza tecnologica. E poi si sorprende se non riesce.
Conservatore: Qui ti do ragione su una cosa: l’Europa ama la norma più della fabbrica. Ma proprio per questo serve pragmatismo. L’ambientalismo deve diventare una politica di potenza. Non una liturgia di scadenze.
Progressista: Una politica di potenza senza bussola morale diventa greenwashing. Il rischio è quello: chiamare ‘transizione’ qualunque cosa purché non disturbi. E intanto i conti climatici peggiorano.
Conservatore: E una bussola morale senza politica diventa una religione civile: identità forti, risultati scarsi. La verità è che non puoi salvare il pianeta contro le persone. Devi farlo con loro, e quindi devi parlare una lingua che non umilia chi fatica.
Progressista: E io ti rispondo: non puoi salvare le persone senza salvare il pianeta. Se continui a trattare l’urgenza come un’opinione, stai solo rinviando il conto. Forse la domanda vera è: quanta verità siamo disposti a dire, anche quando costa?
Conservatore: “E la domanda speculare è: quanta realtà siamo disposti ad accettare, anche quando smentisce gli slogan? Perché l’ambientalismo europeo è arrivato a un bivio: o diventa un progetto praticabile, oppure diventa una bandiera di minoranza.”