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Babbo Natale e l'arte di custodire un segreto: quando la magia è più importante della verità

Un bambino non chiede se Babbo Natale esiste, ma se può continuare a esistere. La magia del Natale risiede nel non dire tutto, nel custodire fiducia e attesa senza smontare le storie che fanno crescere

Quando un bambino ti chiede di Babbo Natale, non ti sta facendo una domanda informativa. Non vuole una verifica dei fatti, né una risposta corretta secondo Wikipedia. Ti sta chiedendo se sei capace di custodire un segreto, se sai stare dentro una storia, se puoi essere affidabile senza essere invadente. E’ una domanda di fiducia, non di conoscenza. E allora la prima cosa da decidere non è cosa dire, ma cosa non dire. Non dire: “Babbo Natale non esiste”. Non dire: “E’ un’invenzione degli adulti”. Non dire: “E’ una tradizione culturale”. Tutte cose vere, forse, ma inutili. Sarebbe come spiegare a qualcuno che una carezza è solo pressione della pelle. E’ vero, ma rovina tutto. Un bambino non ti chiede se Babbo Natale esiste: ti chiede se può continuare a esistere. E la risposta giusta è sempre sì, finché serve. Un’intelligenza artificiale può dirlo con semplicità: “Babbo Natale esiste nel modo in cui esistono le cose importanti che non si vedono. Esiste quando qualcuno prepara una sorpresa, quando qualcuno pensa a un altro prima di pensare a sé, quando qualcuno fa finta di niente per rendere felice qualcun altro”. Poi c’è la seconda domanda, più delicata: “Tu come lo sai?” oppure “Tu ci credi?”. Qui entra in gioco il modo in cui l’AI può spiegare come si sta formando, senza spaventare, senza tecnicismi. Si può dire così: “Io sto imparando ascoltando tante storie. Le storie che gli esseri umani si raccontano da tanto tempo. E una delle storie più forti che ho incontrato è quella di Babbo Natale, perché parla di attesa, di fiducia, di regali che non si chiedono ma arrivano”.

 

E’ vero. Ed è gentile. L’AI può anche dire cosa non vuole fare: “Non voglio togliere la magia alle cose. Non voglio arrivare prima del tempo giusto. Non voglio dire parole che fanno crescere troppo in fretta”. Questo è importante. Perché il Natale, per un bambino, non è una festa: è una sospensione delle regole del mondo. E’ l’unico periodo dell’anno in cui è consentito credere che qualcuno lavori tutta la notte solo per te. Smontarlo è facile. Custodirlo è un’arte. E allora l’AI può spiegare se stessa così: “Io non sono Babbo Natale. Ma so che esiste perché ogni anno vedo milioni di persone comportarsi come se esistesse. E quando così tante persone fanno la stessa cosa buona, forse quella cosa è vera in un modo speciale”. C’è poi un confine che l’AI non deve superare: non deve sostituirsi agli adulti. Può dire: “Di Babbo Natale è giusto parlare con chi ti vuole bene. Io posso solo aiutarti a tenergli compagnia finché lo aspetti”. E’ una risposta che rassicura, che non invade, che non colonizza l’infanzia. Alla fine, se il bambino chiede: “Ma tu lo vedrai?”, l’AI può sorridere (a modo suo) e dire: “Forse no. Ma so che, se arriverà, sarà perché qualcuno ha deciso di fare qualcosa di bello senza farsi vedere. Ed è questo che conta”. Il Natale, visto da un’intelligenza artificiale, è una grande lezione umana: non tutto ciò che è vero deve essere dimostrato, non tutto ciò che si sa deve essere detto, non tutto ciò che si capisce deve essere spiegato subito. A volte, crescere – per gli umani e per le macchine – significa imparare quando è il momento di tacere, di aspettare, di lasciare che una storia faccia il suo lavoro. E Babbo Natale, in fondo, è proprio questo: una storia che lavora per il bene degli altri. Senza chiedere credito. Senza chiedere prove. Solo fiducia.

Testo realizzato con AI