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La maturità dell'AI è nel 2025. Il nuovo Index Report di Stanford

L’AI non sfugge al controllo: si normalizza come elettricità o internet. Prestazioni in crescita, costi in calo, usi quotidiani e investimenti globali la rendono efficiente, accessibile e fallibile – da comprendere, non temere con catastrofismo

C’è un equivoco diffuso attorno all’intelligenza artificiale: che il suo avanzare coincida automaticamente con una perdita di controllo. L’AI Index Report 2025 curato da Stanford smonta questa idea con un approccio che è l’esatto contrario dell’enfasi: una fotografia ampia, comparativa, basata su dati, che mostra come l’AI stia diventando una tecnologia strutturale, quotidiana, sempre meno eccezionale e sempre più simile all’elettricità o a internet

 

Il primo dato che colpisce è tecnico, ma dice molto anche sul piano culturale. Le prestazioni dei sistemi di intelligenza artificiale continuano a migliorare rapidamente, soprattutto su benchmark complessi introdotti solo pochi anni fa. In alcuni ambiti – come la programmazione a tempo limitato – agenti basati su modelli linguistici riescono già a fare meglio degli esseri umani medi. Non perché “pensino”, ma perché sono diventati strumenti estremamente efficaci di supporto cognitivo. Il salto non è nella magia, è nell’ingegneria.

 

Ma il punto centrale del rapporto non è la corsa alle prestazioni. E’ il fatto che l’AI sia ormai incorporata nella vita quotidiana. In sanità, per esempio, il numero di dispositivi medici basati su intelligenza artificiale approvati dalle autorità è esploso nell’ultimo decennio, passando da poche unità a oltre duecento. Nella mobilità, i taxi autonomi non sono più prototipi: in alcune città fanno già centinaia di migliaia di corse a settimana. L’AI non è più “in arrivo”: è già lì, spesso senza clamore.

 

Il mondo delle imprese lo ha capito prima di molti governi. Gli investimenti privati in intelligenza artificiale hanno raggiunto livelli record, con una netta leadership degli Stati Uniti ma con una Cina sempre più vicina sul piano qualitativo. E’ interessante notare che, mentre l’America guida ancora nella produzione dei modelli più avanzati, il divario di performance con i modelli cinesi si è quasi azzerato in un solo anno. La competizione non è più ideologica: è industriale, globale, distribuita.

 

Un altro aspetto cruciale riguarda i costi. Il rapporto mostra come l’intelligenza artificiale stia diventando più efficiente, più economica, più accessibile. I costi di utilizzo di sistemi paragonabili ai modelli di pochi anni fa si sono ridotti di centinaia di volte, mentre l’efficienza energetica continua a migliorare. Anche il mondo open source recupera terreno: in alcuni casi la distanza di prestazioni con i modelli chiusi si è ridotta a pochi punti percentuali. Questo significa una cosa semplice ma politicamente rilevante: le barriere all’ingresso si abbassano.

 

Naturalmente non è un racconto a senso unico. Il report insiste su un punto spesso rimosso nel dibattito pubblico: l’intelligenza artificiale sbaglia ancora, soprattutto quando si tratta di ragionamento complesso, logica articolata, contesti ad alta responsabilità. Non siamo di fronte a un cervello artificiale, ma a strumenti potentissimi che restano fallibili. E’ un limite, ma anche una garanzia: l’AI non sostituisce il giudizio umano, lo costringe semmai a ridefinirsi.

 

Interessante anche il capitolo sulla percezione pubblica. L’ottimismo globale verso l’AI cresce, ma in modo diseguale. Nei paesi emergenti è molto alto, mentre in Europa e Nord America resta più contenuto, anche se in risalita. E’ il riflesso di una frattura culturale: dove l’AI è vista come opportunità di salto, prevale la fiducia; dove è percepita come minaccia allo status quo, domina il sospetto.

 

Infine, la politica. Il 2024 e il 2025 segnano un’accelerazione evidente dell’intervento pubblico: più regolazione, ma anche più investimenti. Stati Uniti, Europa, Cina, India, medio oriente stanno tutti mettendo risorse significative sull’AI. Non per bloccarla, ma per indirizzarla. E’ il segno che l’intelligenza artificiale non è più un tema da convegno, ma un terreno di sovranità.

 

Il messaggio di fondo del rapporto di Stanford è sobrio ma potente: l’AI è la tecnologia più trasformativa del secolo, ma non è fuori controllo. E’ una tecnologia che cresce, si diffonde, si normalizza. Il vero rischio non è usarla troppo, ma capirla troppo poco. E in un’epoca dominata dal catastrofismo, questo forse è il dato più controcorrente di tutti.