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L'accusa all'Ue che stia lasciando Kyiv vivere “a tempo preso in prestito” fa male

L’Europa proclama una guerra esistenziale contro la Russia, ma agisce come se fosse una mera crisi passeggera, rimandando decisioni irreversibili sugli asset congelati e comprando tempo a caro prezzo per Kyiv e per sé stessa. Speriamo che The Spectator esageri

Lo Spectator mette il dito nella piaga con la crudeltà di chi non deve vincere elezioni in ventisette paesi: l’Europa parla di guerra esistenziale, ma si comporta come se stesse gestendo una crisi congiunturale. I soldi ci sarebbero, almeno in teoria: i famosi asset russi immobilizzati, soprattutto in Belgio, attorno a Euroclear, diventati da tre anni il grande convitato di pietra di ogni vertice. Eppure il punto politico dell’editoriale è: se non hai il coraggio (o la base legale, o la volontà condivisa) per usare davvero quella leva, allora stai solo comprando tempo. Ogni mese che passa senza decisioni chiare aumenta la pressione sui leader e la frustrazione dei cittadini. Tempo per Kyiv, certo. Ma anche tempo per te, per non decidere.

 

Che questa diagnosi sia plausibile non significa che debba essere vera. Anzi: la speranza ragionevole è che l’editoriale fotografi un’Europa che sta per cambiare marcia, non un’Europa che ha già scelto l’abitudine alla lentezza. Perché c’è un equivoco da sciogliere: non è che l’Europa non possa, è che fin qui ha preferito non farlo in modo irreversibile. La scelta sugli asset russi non è tecnica, è culturale: toccare il “capitale” significa accettare un precedente, un rischio legale, una possibile ritorsione. Eppure, rimandare significa lasciare che altri decidano al tuo posto, rinunciando a parte della sovranità europea. Ma proprio perché il costo è alto, il non-decidere diventa ogni mese più costoso. E poi c’è la realtà, che alla lunga vince sempre sui comunicati. La realtà richiede azioni concrete, non annunci solenni o frasi diplomatiche di circostanza. Se l’America riduce l’impegno, l’Europa deve smettere di trattare l’Ucraina come una pratica da rinnovare periodicamente e iniziare a trattarla come ciò che è: una linea avanzata di sicurezza europea. Questo può voler dire molte cose insieme: più produzione industriale, più coordinamento sugli acquisti, più continuità finanziaria, più creatività giuridica (anche senza confiscare, usando profitti e strumenti di garanzia), e soprattutto meno teatro interno. Se la minaccia è davvero esistenziale, non si può continuare a finanziare la resistenza con la psicologia del “vediamo”.

 

Per questo conviene augurarsi che lo Spectator abbia torto: non perché l’Europa meriti una carezza, ma perché non può permettersi quella sentenza. Se l’Ucraina vive “on borrowed time”, allora anche l’Europa vive su credito: credito politico, militare, morale. E prima o poi i debiti, in geopolitica, presentano sempre il conto.

 

Testo realizzato con AI