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Elsa Fornero: il simbolo dei fallimenti altrui
Per oltre dieci anni Fornero è stata trattata come il simbolo di tutto ciò che non andava. Tutti quelli che dovrebbero chiederle scusa
C’è una lista che in Italia non viene mai aggiornata, ed è quella delle scuse dovute. Non quelle di circostanza, ma quelle politiche, culturali, perfino morali. In cima a questa lista c’è Elsa Fornero. Non perché abbia avuto sempre ragione, non perché la riforma del 2011 fosse indolore o perfetta, ma perché tutti quelli che ne hanno promesso l’abolizione sono stati smentiti dalla realtà, mentre lei – nel bene e nel male – aveva fotografato un problema vero. Per oltre dieci anni Fornero è stata trattata come il simbolo di tutto ciò che non andava: l’austerità, l’Europa cattiva, i tecnocrati, i sacrifici imposti dall’alto. “Cancelleremo la Fornero”, “supereremo la Fornero”, “smantelleremo la Fornero”: slogan ripetuti da destra e da sinistra, in campagna elettorale e nei talk show, come se bastasse pronunciare quella parola per raccogliere consenso. La Fornero è diventata un bersaglio, un feticcio polemico, una scorciatoia narrativa. Poi, però, è arrivato il tempo di governare. E lì è successo qualcosa di imbarazzante per tutti. La riforma Fornero non è stata abolita. E’ stata aggirata temporaneamente, corretta ai margini, sospesa per alcune categorie, ma mai davvero cancellata. Quota 100, quota 102, quota 103: una numerologia creativa che ha prodotto spesa pubblica, incertezza, e pochissimi benefici strutturali. Tutti esperimenti nati con l’ambizione di “chiudere la stagione Fornero” e finiti come parentesi costose, presto richiuse. Oggi, silenziosamente, si torna sempre lì: età pensionabile, sostenibilità, demografia, conti. La verità è semplice e scomoda: la Fornero aveva visto giusto sul problema, anche se la soluzione fu adottata in condizioni drammatiche e con effetti sociali pesanti. L’Italia invecchia, fa pochi figli, ha un debito enorme e una crescita fragile. Pensare di poter abbassare stabilmente l’età pensionabile senza pagare un prezzo era – ed è – una favola. Una favola che molti hanno raccontato, salvo poi smettere di crederci una volta entrati a Palazzo Chigi. Dovrebbero chiedere scusa quelli che hanno costruito carriere politiche sulla promessa di smontare la riforma “in trenta giorni”. Quelli che hanno dipinto Fornero come una nemica del popolo, salvo poi scoprire che il popolo in pensione senza coperture non lo paga la propaganda, ma il bilancio dello stato. Dovrebbero chiedere scusa quelli che hanno trasformato un problema strutturale in una guerra simbolica, senza mai dire la verità agli elettori. Ma c’è anche un altro motivo per cui le scuse sarebbero dovute. Elsa Fornero è stata una delle poche ad assumersi il costo personale delle scelte impopolari. E’ diventata il volto di una riforma necessaria proprio perché nessun politico voleva esserlo. Ha pagato un prezzo umano e pubblico enorme, mentre molti di quelli che la insultavano oggi governano con la stessa aritmetica che allora fingevano di non conoscere. Questo non significa santificare la riforma Fornero né ignorarne gli errori, a partire dalla gestione degli esodati. Significa riconoscere una cosa elementare: la politica che promette l’abolizione della realtà finisce sempre per essere abolita dalla realtà stessa. E su questo, negli ultimi dieci anni, Elsa Fornero è stata meno ipocrita di quasi tutti i suoi critici. Chiedere scusa, in Italia, è considerato un segno di debolezza. In realtà sarebbe un raro segno di serietà. Perché se tutti quelli che volevano abolire la Fornero sono stati smentiti dai fatti, forse il problema non era Elsa Fornero. Era – ed è – la difficoltà della politica italiana di dire la verità quando costa.
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