Immagine realizzata da Chatgpt

foglio ai

La strategia americana. L'Europa secondo Trump: anatomia di un'aggressione “gentile” 

Il documento sulla sicurezza nazionale  tratteggia un’aggressione concettuale e politica al cuore del progetto Ue. Continente da “correggere”

Il punto di partenza, nel documento strategico della Casa Bianca del 2025, è netto: l’Europa non è più vista come un alleato da rafforzare ma come un continente smarrito, in declino economico, privo di fiducia in sé stesso. Il testo parla apertamente di “civilizational erasure”, perdita di identità, crollo demografico, incapacità politica. Una diagnosi che non ha il tono dell’analisi neutra: è l’atto d’accusa che prepara l’intervento.  

L’aggressione non è militare, non è commerciale: è culturale e strategica. Si parte dall’idea che l’Europa sia stata corrotta dalle proprie istituzioni: “regulatory suffocation”, si legge, regolazione asfissiante, incapacità di valorizzare talenti, difficoltà nel proteggere confini e identità. Trump non attacca l’Europa come avversario: la tratta come un progetto da rovesciare e ricostruire. Un’Europa “troppo europea”, verrebbe da dire, che secondo Washington ha perso la voglia di essere sé stessa.  

Dentro questa lettura c’è il primo pilastro dell’aggressione: la necessità, per gli Stati Uniti, di “aiutare” l’Europa a ritrovare quello spirito nazionale che Bruxelles avrebbe soffocato. Di qui l’invito a “resistere alla traiettoria attuale”, a recuperare sovranità, orgoglio, tradizioni. E’ un programma politico travestito da strategia di sicurezza. Il secondo pilastro arriva sul terreno più sensibile: la guerra in Ucraina. La strategia sostiene che un cessate il fuoco rapido è interesse americano, necessario per “stabilizzare l’economia europea” e ripristinare una relazione con la Russia che eviti escalation incontrollate. La guerra viene rappresentata come uno choc che ha aggravato la dipendenza europea da Mosca e da Pechino: un’interpretazione che apre la strada a un messaggio chiaro – l’Europa non è capace di scegliere, quindi serve un tutore.  

Terzo pilastro: la Nato. Trump spiega che gli Stati Uniti non reggeranno più il peso dell’alleanza. L’Europa deve “camminare sulle proprie gambe”, assumere responsabilità totali sulla propria difesa, mentre Washington si riserva di scegliere quando e come impegnarsi. E’ il più forte spostamento dell’asse atlantico degli ultimi decenni: non una rottura, ma un ricatto. O vi rafforzate come diciamo noi, o vi lasciamo al vostro destino.  

Il quarto pilastro è economico. Gli Stati Uniti pretendono “fairness”: apertura dei mercati, stop alle pratiche considerate mercantiliste, riduzione delle barriere a prodotti e servizi americani. L’Europa viene dipinta come un territorio protezionista, iper-regolato, poco competitivo. E dunque da correggere. Anche qui l’aggressione è gentile, ma ha il peso di un ultimatum: o l’Europa si apre, o gli Usa ridisegneranno i rapporti commerciali a loro favore.  

Infine, il capitolo culturale. Il testo sostiene che l’Europa vive una crisi di identità, tradizione, natalità, libertà di espressione. Gli Usa dichiarano di voler “aiutare” le forze politiche che si oppongono a questa deriva. Non è più diplomazia: è intervento culturale, endorsement implicito dei partiti “patriottici” come anticorpi contro il progetto europeo.   L’aggressione, dunque, non è mai esplicita ma è ovunque. L’Europa viene trattata come un paziente in stato confusionale che ha urgente bisogno di una terapia d’urto: ritrovare identità nazionale, ridurre l’influenza dell’Ue, ribilanciare la Russia, riaprire ai mercati americani, aumentare la spesa militare. In altre parole: diventare un continente più simile all’America che Trump immagina.