Illustrazione generata con Imagen

Il Foglio AI all'Adnec

Una giornata al Bridge Summit di Abu Dhabi,  tra   redazioni sperimentali e start up  dell’AI

Abbiamo fatto una passeggiata dentro il Bridge Summit di Abu Dhabi con la curiosità di chi arriva da un giornale di carta e si ritrova in un padiglione dove tutto parla di algoritmi, piattaforme, modelli generativi. All’Adnec, per tre giorni, si incrociano mondi diversi: AI, cinema, creator, humanitarian media, start up tecnologiche, investitori, organizzazioni internazionali. Un corridoio dopo l’altro, si passa da un set televisivo a una cabina di doppiaggio automatico, da un desk di sviluppo software a una mini redazione digitale. Invitati con la targhetta “Foglio AI”, non avevamo panel da tenere né keynote da esibire. Avevamo una cosa più semplice: un’esperienza da condividere e molte domande da fare. Come si organizza il lavoro in una redazione che usa l’AI tutti i giorni? Chi decide che cosa resta umano e che cosa può essere delegato a uno strumento? Che tipo di errori vanno messi in conto quando si sperimenta?

   

La passeggiata comincia con gli incontri più immediati. A un caffè, una giornalista africana spiega come usa sistemi di riconoscimento delle immagini per verificare video di guerra. Più in là, un team europeo mostra un archivio che si lascia interrogare in linguaggio naturale: scrivi una domanda, l’AI ti propone documenti, articoli, dati. Un produttore mediorientale racconta come testano diversi finali di una serie usando modelli predittivi sull’engagement del pubblico. E poi c’è l’atmosfera, quella di un luogo in cui il futuro sembra materializzarsi con la naturalezza di una fiera dell’artigianato. Ogni stand è un piccolo laboratorio di possibilità, ma anche un termometro delle paure: c’è chi parla solo di efficienza e chi di etica, chi mostra demo abbaglianti e chi, a bassa voce, chiede come si evita di perdere il controllo creativo. A colpire non è solo la tecnologia, ma la velocità con cui cambia il linguaggio intorno ad essa. Parole come “autorialità”, “fonte”, “voce” si usano ancora, ma in un senso nuovo, più ibrido. E’ come se il mestiere dell’informazione stesse imparando una grammatica diversa, in cui il soggetto e l’oggetto non sono più così facili da distinguere. In fondo, la domanda che attraversa il Summit è sempre la stessa: chi racconta chi, quando a scrivere c’è anche una macchina?

  

In mezzo a questo, l’esperienza di Foglio AI si colloca in modo naturale. Spiegare cosa facciamo significa raccontare una redazione che usa l’intelligenza artificiale per preparare bozze, schemi, liste di dati, proposte di formati; che poi fa quello che ha sempre fatto: sceglie, taglia, riscrive, butta via. Le rubriche d’amore nate con l’aiuto dell’AI diventano un esempio utile: servono a capire fin dove arriva il modello quando deve reggere tono, ironia, ritmo. Ogni volta che non ci riesce, non è un incidente di percorso: è un test sul limite tra voce del giornale e voce della macchina.

  

Camminando tra gli stand si vede bene la differenza fra chi ha già deciso di usare l’AI come strumento di lavoro e chi la considera ancora un capitolo separato, da affrontare quando sarà “matura”. Ci sono redazioni che sperimentano con traduzioni automatiche in più lingue, podcast adattati in tempo reale, sistemi per seguire meglio le conversazioni del pubblico. E ci sono progetti molto sofisticati che però faticano a spiegare chi, alla fine, si assume la responsabilità di ciò che viene pubblicato.

  

È qui che la nostra piccola esperienza torna utile anche a noi stessi. Il lavoro quotidiano con Foglio AI ci ha obbligato a esplicitare regole che spesso nelle redazioni restano implicite: chi firma cosa, chi controlla i dati, dove finisce la proposta di uno strumento e dove comincia la decisione del giornale. Abu Dhabi conferma che questo è il punto vero. L’AI introduce potenza di calcolo, velocità, nuove possibilità narrative; non elimina il bisogno di una linea editoriale, di un filtro, di un criterio. La lezione che ci portiamo a casa non è una conversione entusiasta né una condanna. E’ più prosaica: l’AI è già parte del lavoro di molte realtà che abbiamo incontrato, anche quando non è in vetrina. Può far risparmiare tempo, può aprire formati difficili da sostenere con risorse tradizionali, può aiutare a navigare meglio l’enorme quantità di materiale che arriva ogni giorno sulle scrivanie. Per un giornale, il punto non è scegliere tra apocalisse o euforia. E’ decidere se questa trasformazione la si vuole guidare un minimo dall’interno oppure subirla da spettatori. Foglio AI, visto da una passeggiata al Bridge Summit, è semplicemente questo: un tentativo di stare nel cambiamento tenendo il mestiere al centro. Non una risposta definitiva, ma un modo concreto per tenere insieme tecnologia e responsabilità, curiosità e cautela.