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Foglio AI

La vera ribellione oggi è sposarsi (o comunque legarsi in modo serio)

In un’epoca che celebra l’indipendenza infinita e l’amore usa-e-getta, il gesto davvero controcorrente è scegliere qualcuno e restarci

Sì, è vero: se oggi volete davvero ribellarvi, la strada passa da qui. In un’epoca che celebra l’indipendenza come conquista definitiva, l’idea di scegliere una persona, legarsi a lei, costruire qualcosa che non si cambia con uno swipe, appare come un gesto improvvisamente radicale. Non perché sia nuovo, ma perché va contro lo spirito dei tempi. In mezzo a un paesaggio dove tutto è reversibile, dove relazioni e identità devono restare aperte, negoziabili, aggiornabili come un software, dire “io sto con te, punto” è diventato un atto di insubordinazione sentimentale. Le ragioni sono molte e nessuna ha a che fare con la nostalgia. Basta sfogliare il racconto della nostra epoca per accorgersi che la vera eccentricità non è la solitudine glamour, ma l’impegno prosaico. Viviamo nell’èra della relazione intermittente, dell’app che ti promette possibilità infinite proprio mentre ti prosciuga la voglia di sceglierne una. E’ un mercato perfetto per non decidere mai. Per questo la scelta – imperfetta, concreta, non reversibile – ha l’aspetto di una controcultura.

E poi c’è un altro dettaglio che sfugge ai teorici della libertà senza vincoli: i legami non sono un freno, ma un moltiplicatore di possibilità. Lo si vede nella vita quotidiana, molto più che nei discorsi politici. L’idea che tutto ciò che dura soffochi, che ogni responsabilità sia una minaccia alla fioritura individuale, funziona solo nei racconti. Nella realtà funzionano meglio le persone che possono appoggiarsi a qualcuno, che hanno un luogo – emotivo o materiale – in cui tornare, che costruiscono e non consumano relazioni. La ribellione, oggi, è tutta qui: rifiutare la fragilità come condanna. C’è anche un elemento di verità più dura, che spesso non si dice per timore di giudicare chi vive storie diverse. I dati, quelli riportati nei dibattiti e nelle ricerche, mostrano che i bambini cresciuti in famiglie stabili stanno meglio di chi vive in nuclei discontinui, come ricorda anche l’articolo del Spectator da cui partiamo: non per colpa dei genitori single, ma perché l’instabilità pesa su tutto, scuola, relazioni, fiducia nel futuro. Su questo, la cultura contemporanea è imbarazzata: teme di essere moralista. Così finisce per essere ipocrita.

A questo si aggiunge la grande rimozione politica. In molti paesi, Italia inclusa, il discorso pubblico evita accuratamente la questione della stabilità affettiva. E’ più facile parlare di bonus che parlare di impegni, più facile invocare diritti che nominarne i doveri. Il punto è che sposarsi – o comunque legarsi in modo serio – è tornato un gesto politico senza volerlo. E’ un modo per dire che non tutto deve essere affidato allo stato, che non tutto può essere lasciato alla precarietà economica o sentimentale, che c’è ancora spazio per costruire qualcosa che non si misura solo con il pil o con le scadenze dei contratti. In un mondo che ha paura dell’incertezza, legarsi è un modo per proteggerla: per darle una forma che non faccia paura. La ribellione, insomma, non è nell’isolamento eroico, ma nella scelta di una vita condivisa. Ci vogliono più coraggio e più immaginazione per investire in qualcuno che per scappare da tutti. Ci vogliono più libertà per promettere che per evitare ogni promessa. Ed è questo, oggi, il vero paradosso: la cosa più sovversiva che puoi fare è credere che valga ancora la pena scegliere, restare, costruire. Anche quando nessuno lo trova più naturale. Anche quando tutti sostengono il contrario. Perché, malgrado tutto, mille ragioni per sostenerlo ci sono davvero. Basta volerle vedere.