Illustrazione realizzata con AI

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L'Italia che verrà nasce dove finiscono i tabù tecnologici. Il futuro non è un salto nel buio

Basta paure. Superare la diffidenza nazionale è urgente: dalle reti 5G allo slicing che mette a disposizione delle Pmi reti virtuali, l’innovazione può migliorare produttività, sanità e servizi pubblici. Serve sperimentare, investire e semplificare la burocrazia

L’Italia è un paese che ha sempre avuto un rapporto irrisolto con la tecnologia: incuriosita, talvolta affascinata, spesso diffidente. L’innovazione arriva, funziona, produce valore, ma il dibattito pubblico la tratta come qualcosa da maneggiare con sospetto. E’ un paradosso: per crescere abbiamo bisogno di più tecnologia, mentre spesso ci ostiniamo a discuterne come fosse un pericolo. Ma il futuro dell’Italia passa anche – e forse soprattutto – dalla rimozione dei suoi tabù tecnologici. E forse proprio questo è il nodo: in Italia non manca la tecnologia, manca la fiducia in ciò che può fare. Ogni volta che un’innovazione si affaccia, il dibattito si concentra su ciò che potrebbe andare storto, raramente su ciò che potrebbe migliorare.

 

L’esempio più evidente riguarda le infrastrutture digitali. Nel mondo delle imprese, della pubblica amministrazione, della logistica, della sanità, la disponibilità di reti avanzate non è un lusso: è una condizione per competere. La nuova generazione di reti mobili, come il 5G Stand Alone lanciato da WINDTRE, mostra quanto la modernizzazione non sia un tema astratto ma un fattore concreto di trasformazione. Questa rete, totalmente indipendente dal 4G, consente prestazioni stabili, sicure e personalizzabili, e apre la porta a usi che vanno dalla manutenzione industriale con realtà aumentata ai pagamenti digitali in grandi eventi, fino allo scambio di dati clinici in mobilità. Serve un cambiamento di narrazione: la tecnologia non è un sostituto dell’uomo, ma un alleato che gli permette di dedicarsi a ciò che richiede ingegno, creatività, responsabilità.


Ancora più rivoluzionaria è la logica dello slicing della rete: dedicare porzioni della rete pubblica a servizi specifici, creando di fatto reti virtuali private alla portata non solo dei colossi industriali, ma anche delle piccole e medie imprese. E’ un modo per spostare il discorso dall’astrazione alla concretezza: se un’azienda può ottenere una rete stabile, sicura, a latenza controllata, senza investimenti infrastrutturali, allora il tema non è più “se” usare tecnologie nuove, ma “perché non farlo subito”. Quando altri paesi accelerano, noi spesso rallentiamo per discutere, rimandare, mitigare. Ma la prudenza non può diventare immobilismo. L’innovazione produce benefici solo quando è utilizzata: lasciarla sulla carta significa regalare vantaggio competitivo a chi non ha le nostre esitazioni. E questo vale per il pubblico come per il privato: la burocrazia che teme il digitale resta lenta; l’impresa che lo evita resta fragile. 


I tabù tecnologici non riguardano solo le reti. Riguardano la diffidenza verso l’automazione, verso l’intelligenza artificiale, verso l’integrazione dei dati nella sanità, verso sistemi digitali che potrebbero semplificare la vita dei cittadini e ridurre i costi della macchina pubblica. Riguardano l’idea, tutta italiana, che l’innovazione sia una minaccia all’occupazione invece che un moltiplicatore di produttività. Il cambiamento richiede un salto culturale: smettere di considerare la tecnologia come un “di più” e iniziare a vederla come un’infrastruttura mentale, prima ancora che materiale.

 

Eppure la realtà dimostra il contrario. Le imprese che investono in digitalizzazione sono più solide, più esportatrici, più resilienti. La sanità che usa strumenti digitali è più rapida e più sicura. Le città che adottano tecnologie per trasporti, servizi, emergenze sono più vivibili. I media che integrano strumenti tecnologici nelle produzioni diventano più competitivi, come dimostrano gli esperimenti sul campo di broadcasting supportato dal 5G SA in eventi con decine di migliaia di spettatori, dove la trasmissione video resta stabile anche in condizioni di traffico estremo della rete. 

 

Il punto è culturale prima che materiale. Un paese che considera la tecnologia come un problema è un paese che rinuncia a una parte della propria crescita. Rimuovere i tabù non significa accettare ogni novità senza spirito critico. Significa adottare un metodo: analizzare, investire, sperimentare, correggere. Significa riconoscere che la modernizzazione non si fa per decreto, ma attraverso l’incontro tra imprese capaci di innovare e istituzioni capaci di decidere. L’Italia è piena di eccellenze industriali, di competenze tecniche, di idee. Ma ha bisogno di una cosa semplice: fidarsi della tecnologia. Non per fede, ma per esperienza. Il futuro non aspetta. E quando arriva, non chiede il permesso.