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Le parole sconcertanti di Francesca Albanese mostrano ciò che molti sindaci fingono di non vedere

Cittadinanze onorarie a chi, dopo l’assalto a una redazione, parla di "monito alla stampa": così molti comuni di sinistra hanno finito per premiare non la difesa dei diritti, ma un estremismo che usa il palco Onu per giustificare la violenza contro la libertà di espressione. Un errore politico che ora pesa come un macigno

C’è una lezione che i comuni italiani, soprattutto quelli amministrati da sindaci di sinistra, farebbero bene a imparare una volta per tutte: la cittadinanza onoraria non è un gesto poetico, è un atto politico. E quando si attribuisce a una figura pubblica, bisogna essere certi che quella figura rappresenti valori compatibili con la nostra democrazia. Perché altrimenti ci si ritrova, puntualmente, nella trappola: premiare chi poi usa quel riconoscimento per delegittimare istituzioni, stampa, pluralismo.

 

Il caso di Francesca Albanese è, da questo punto di vista, paradigmatico. Per anni celebrata da molti amministratori locali come simbolo di una causa, quella palestinese, che suscita empatia e solidarietà spontanea, Albanese è stata adottata dalle città italiane come un vessillo progressista. Ma la politica  avrebbe dovuto guardare con più attenzione ciò che si muoveva sotto la superficie. L’episodio dell’assalto alla redazione de La Stampa, narrato con precisione nei resoconti giornalistici, segna uno spartiacque. La relatrice speciale Onu condanna la violenza – “non bisogna commettere atti di violenza nei confronti di nessuno” – ma aggiunge subito che quanto accaduto dovrebbe servire “da monito alla stampa”. Un monito. Come se l’aggressione fosse, in parte, una conseguenza delle scelte editoriali del giornale. Come se l’informazione dovesse modificarsi per compiacere la piazza. Questa frase, pronunciata sul palco di un evento dal titolo eloquente – Rebuild Justice – non è una scivolata: è una rivelazione. Dice tutto di un’impostazione in cui la rabbia della folla viene giustificata, compresa, quasi rappresentata. Dice tutto di un estremismo che indossa il linguaggio dei diritti ma ne rovescia la sostanza. Dice tutto di una visione politica che considera la stampa non un interlocutore libero ma un avversario da ammonire.

 

Le reazioni sono state nette. Perché un limite è stato superato: quello che separa l’attivismo dal giustificazionismo. Ed è qui che entra in gioco il monito ai sindaci. Per anni molte amministrazioni locali hanno concesso cittadinanze onorarie come attestati di simpatia, quasi fossero pergamene di sostegno emotivo. E’ comprensibile, è umano. Ma la politica non può essere solo umana: deve essere prudente. E quando un personaggio pubblico comincia a utilizzare il proprio ruolo per colpire la stampa, per alimentare la retorica della “colpa mediatica”, per insinuare che il dissenso giornalistico meriti punizioni simboliche, allora non è più questione di “pro Palestina”: è questione di estremismo. Albanese non è, come qualcuno ha voluto credere, una voce di equilibrio dentro un conflitto tragico. E’ una militante con un’agenda politica precisa, che usa la retorica dei diritti per attaccare istituzioni democratiche, relativizzare atti di violenza, costruire narrazioni basate sulla colpa dell’occidente. E questo non sarebbe un problema, se non fosse che le cittadinanze onorarie conferitele da diversi comuni rischiano ora di trasformarsi in imbarazzanti attestati di ingenuità amministrativa. Le città italiane non hanno bisogno di simboli di estremismo travestiti da figure umanitarie. Hanno bisogno di valori chiari: libertà di stampa, rifiuto della violenza, rispetto delle istituzioni, capacità di leggere le complessità senza cadere nel tifo ideologico. Monito, dunque? Sì, ma rivolto ai comuni italiani: la cittadinanza onoraria non è un premio. E’ una responsabilità. E va data a chi difende la democrazia, non a chi la usa come palcoscenico per scagliarsi contro la libertà degli altri.