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L'Europa può decidere da sola. L'unanimità è un totem politico
L’Europa non è prigioniera dei veti come spesso si racconta. I suoi Trattati già prevedono clausole e maggioranze che permettono di decidere senza l’unanimità. Il problema non è giuridico, ma politico: serve il coraggio di usare gli strumenti che esistono già
L’Europa è spesso accusata di non saper decidere. Di paralizzarsi davanti ai veti. Di essere un gigante burocratico e un nano politico. Ma non sempre è vero. In realtà, l’Unione europea dispone già di numerosi strumenti per deliberare senza l’unanimità, cioè senza che ogni stato membro debba dire “sì” per permettere agli altri di agire. Sono strumenti previsti dai Trattati, poco usati per prudenza politica o per paura di incrinare equilibri interni, ma giuridicamente solidi e già operativi.
Testo realizzato con AI
Il punto di partenza è l’articolo 16 del Trattato sull’Unione europea, che stabilisce la regola della maggioranza qualificata per la gran parte delle decisioni del Consiglio: servono il 55 per cento degli stati membri, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione. Questa regola vale già per le politiche economiche, ambientali, sociali, per l’agricoltura, per il mercato interno e per la gran parte della legislazione ordinaria europea. E’ la regola di default, non l’eccezione. L’unanimità, invece, resta solo per le materie considerate di “alta sovranità”: politica estera, difesa, adesioni, fiscalità, bilancio pluriennale. Ma anche in questi campi, la realtà è più sfumata. Esistono infatti meccanismi che permettono di aggirare o superare l’unanimità senza cambiare i Trattati. Il primo è la “clausola passerella”, consente al Consiglio europeo, con voto unanime ma una sola volta, di decidere che una materia oggi regolata all’unanimità possa in futuro essere deliberata a maggioranza qualificata.
Il secondo strumento è la cooperazione rafforzata: se almeno nove stati vogliono andare avanti su un tema, possono farlo senza aspettare gli altri.
Un terzo strumento è la base giuridica della “solidarietà”, che permette alla Commissione e al Consiglio di agire rapidamente in caso di crisi energetica, sanitaria o militare senza passare per l’unanimità. C’è poi la politica estera e di sicurezza, che sembra il regno dei veti. Ma anche qui i Trattati prevedono margini di manovra. L’articolo 31 del TUE consente la votazione a maggioranza qualificata per attuare decisioni già prese all’unanimità, e la cosiddetta passerella di difesa, che potrebbe estendere questo principio a missioni comuni o a sanzioni. Un altro canale è la legislazione d’emergenza: il meccanismo di protezione civile europea, la politica energetica comune o le misure di mercato in caso di crisi alimentare possono essere adottati con voti di maggioranza.
Infine, esiste il potere più invisibile ma più reale: la pressione del tempo. In molti casi, la Commissione e il Parlamento europeo possono avanzare proposte che, se non trovano opposizioni esplicite entro una certa scadenza, vengono automaticamente adottate. In sintesi: per riformare davvero il modo in cui l’Europa decide non serve necessariamente riscrivere i Trattati. Serve usarli fino in fondo. L’unanimità, oggi, è più una scelta politica che una costrizione giuridica. La Commissione può già proporre strumenti di debito comune, come nel caso del prestito per l’Ucraina; può mobilitare risorse usando i fondi sovrani russi congelati; può finanziare programmi comuni senza attendere il voto di tutti, purché si tratti di strumenti esecutivi e non di trattati. Il nodo, allora, non è la regola, ma il coraggio. L’Europa che può decidere esiste già.