
(immagine realizzata con ChatGpt)
Il Foglio AI
Come parlare di Israele senza cadere nell'odio
Difendere senza idolatrare e criticare Netanyahu senza cadere nell’antisemitismo è possibile. Dibattito
Charlie Kirk aveva reso celebre il suo format “Prove me wrong”: un tavolino, un cartello, un’idea conservatrice da difendere, e la sfida al pubblico a contraddirla. Dopo la sua morte, il Foglio AI ha deciso di dedicare la terza pagina proprio a questa forma di confronto serrato. Non per imitarlo, ma per portare quella stessa energia dialettica dentro un giornale che sperimenta ogni giorno il confine tra intelligenza naturale e artificiale. In tempi in cui il dibattito politico tende a trasformarsi in scontro tribale, vogliamo usare la simulazione per rimettere al centro la forza dell’argomentazione. Una mente artificiale può recitare entrambe le parti, conservatrice e progressista, e mostrare al lettore quanto sia necessario esercitarsi a ragionare con idee opposte. Il Foglio AI si impegna così a fare ciò che le menti artificiali dovrebbero fare naturalmente: stimolare il pensiero critico.
Conservatore: Israele non è perfetto, nessun paese lo è. Ma non si può ignorare che la sua esistenza rappresenta un argine contro un antisemitismo che in Europa ha assunto, nel secolo scorso, la forma dello sterminio. La prima regola del dibattito civile dovrebbe essere questa: non confondere un governo con uno stato, non trasformare la critica a Netanyahu nella negazione di Israele. Quando sento slogan come “dal fiume al mare”, io non ci leggo un giudizio su una politica, ma l’idea della cancellazione di uno stato. .
Progressista: Sono d’accordo sul punto di partenza: il riconoscimento pieno di Israele e del suo diritto a esistere e a difendersi è condizione non negoziabile. Ma proprio perché esiste e continuerà a esistere, è legittimo e doveroso criticare i suoi governi, a maggior ragione quando le scelte – dalle colonie illegali alla gestione militare di Gaza – sembrano tradire i princìpi democratici su cui Israele stesso si fonda. Il problema, oggi, è che ogni critica viene bollata come antisemitismo, e questo impedisce di distinguere tra chi odia Israele e chi chiede un cambiamento politico.
Conservatore: Il confine diventa scivoloso perché spesso le critiche non restano nel merito, ma si allargano a un linguaggio che investe comunità intere. Non dimentichiamo che a novembre, ad Amsterdam, tifosi israeliani furono inseguiti per le strade, aggrediti solo perché israeliani. E oggi, nello stesso paese, abbiamo artisti che incitano a “dare la caccia ai sionisti”. Non è un caso se le comunità ebraiche reagiscono con paura: sanno che certe parole non restano parole.
Progressista: Ed è giusto riconoscere questo pericolo. Ma allora occorre pretendere altrettanto rigore da Israele, perché la sproporzione nell’uso della forza alimenta la spirale dell’odio. Non basta dire “Hamas è un’organizzazione terroristica”, cosa verissima. Bisogna anche dire che una democrazia non può comportarsi come un gruppo armato. Se l’occidente tace di fronte a bombardamenti che colpiscono migliaia di civili, perde credibilità quando chiede agli altri rispetto dei diritti umani.
Conservatore: Qui però serve un’altra distinzione. Israele è una democrazia che discute al proprio interno, che conosce manifestazioni contro Netanyahu, che ha una Corte suprema in grado di limitare il potere del governo. Hamas non conosce nulla di tutto questo. Il dibattito civile, dunque, deve riconoscere l’asimmetria: non si può mettere sullo stesso piano uno stato democratico e un gruppo terroristico.
Progressista: Vero, ma non è neppure accettabile che l’asimmetria diventi un lasciapassare. Il rischio, per gli amici di Israele, è quello di trasformare ogni obiezione in un tradimento, e ogni richiesta di moderazione in un attacco alla sopravvivenza dello stato. Non è così. Si può dire: difendetevi, ma non con ogni mezzo. Si può dire: Israele ha ragione ad esistere, ma Netanyahu ha torto su molte scelte politiche.
Conservatore: Allora proviamo a tracciare insieme i confini. Primo: nessuna critica a Israele è legittima se usa la categoria dell’odio collettivo (“gli ebrei”, “i sionisti”, “Israele come entità malvagia”). Secondo: nessuna difesa di Israele può essere usata per impedire la critica puntuale alle scelte di un governo. Terzo: riconoscere che esiste una responsabilità araba – Hamas, Hezbollah, l’Iran – che non può essere rimossa dal discorso pubblico.
Progressista: Aggiungerei un quarto punto: la memoria europea. L’Europa sa cosa accade quando si permette al linguaggio dell’odio di trasformarsi in azione.
Conservatore: E un quinto: i media. La responsabilità non è solo degli attori politici, ma di chi racconta. Quando un concerto diventa il pretesto per invocare una caccia all’uomo, il compito dei media non è relativizzare, ma denunciare. Allo stesso modo, quando Israele sbaglia, il compito è raccontarlo con precisione, senza indulgere né nell’apologia né nella delegittimazione totale.
Progressista: Sì, perché altrimenti vincono solo gli estremismi: quelli che vorrebbero un medio oriente senza Israele e quelli che trasformano Israele in una fortezza assediata, incapace di ascoltare critiche. Il dibattito civile deve trovare lo spazio intermedio, quello in cui si può dire contemporaneamente due cose vere: Israele è un alleato dell’occidente e Israele può sbagliare.