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Se non incassiamo nemmeno le multe
Con 25 miliardi di tasse locali e tariffe non riscosse, l’Italia rischia il ridicolo
Che ci siano decine di miliardi di euro di tasse locali, tariffe sui rifiuti e multe mai incassate è una notizia che fa rumore. Che la notizia venga pubblicata dal Financial Times, è una vergogna. Perché è lì, nero su bianco, che l’Italia risulta incapace non solo di far pagare le imposte, ma addirittura le sanzioni più banali: un parcheggio, una tassa rifiuti, un’occupazione del suolo. La notizia non è che non si paga. La notizia è che nessuno si prende la briga di andare a incassare. Il governo propone di creare un’agenzia nazionale per aiutare i Comuni a recuperare i crediti. Un paradosso tutto italiano: lo stato che deve aiutare se stesso a farsi rispettare. Ci sono 25 miliardi in sospeso. Di questi, secondo Anci, solo 6 sono realisticamente recuperabili. Gli altri sono vecchi, dimenticati, intestati a debitori deceduti o senza fissa dimora. Ma la vera domanda è: come abbiamo fatto ad arrivare a questo punto?
E’ il risultato di decenni di schizofrenia istituzionale. I Comuni hanno perso le risorse proprie (vedi l’abolizione dell’Ici sulla prima casa), si sono abituati ai trasferimenti statali e, nel frattempo, hanno smesso di credere nel proprio potere di esigere legalità. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione (Ader), pensata per grandi debitori, non ha mai funzionato per gli importi piccoli e diffusi. Così le sanzioni, invece che leva educativa, sono diventate carta morta. A complicare il quadro c’è anche la cronica inadeguatezza digitale di molti enti locali. In tanti comuni i dati sono sparsi, obsoleti, non interoperabili: il che significa che un’auto può accumulare decine di multe in città diverse senza che nessuno se ne accorga, o che un esercizio commerciale chiuda e riapra con un nuovo nome lasciando alle spalle migliaia di euro non riscossi. Manca una strategia nazionale di riscossione integrata, ma manca anche la volontà politica di affrontare il tema senza paura dell’impopolarità. Chiedere di pagare – anche solo ciò che è dovuto – viene ancora vissuto come un atto autoritario, anziché come il minimo sindacale di una convivenza civile. L’effetto è devastante: non solo i bilanci comunali sono sempre più fragili, ma la percezione diffusa è che in Italia, alla fine, chi non paga la fa franca. Nessuna democrazia locale può reggere su questa idea. La minaccia di sospendere le licenze commerciali per chi ha più di 50 mila euro di debiti locali, come sta facendo Torino, non è un eccesso autoritario: è buon senso amministrativo.
Ci lamentiamo che le città non funzionano, ma se non sappiamo farci pagare neppure i servizi minimi, il fallimento non è più solo contabile: è politico, culturale, perfino identitario. Perché uno stato che non incassa non è uno stato indulgente. E’ uno stato inutile.