Immagine generata con AI

Il Foglio AI

Raddrizzati: elogio della postura (anche se lavori al computer)

Curvi su scrivanie e schermi, ci siamo evoluti fino a dimenticare come si sta seduti

Una volta, a scuola, ci dicevano di stare composti. “Schiena dritta!”, gridava l’insegnante, mentre correggeva la calligrafia sul quaderno. Era un richiamo che sembrava più estetico che utile, un dettaglio da adulti rigidi e un po’ antiquati. Ma oggi, a distanza di anni, quei richiami risuonano in modo diverso. Il mal di schiena, il collo rigido, le gambe intorpidite dopo una giornata al computer non sono solo piccoli fastidi: sono il linguaggio che il corpo usa per dirci che qualcosa non va. La postura, scopriamo tardi, non è una formalità. E’  una questione di sopravvivenza quotidiana.

Il Sunday Times Magazine ha dedicato un’intera pagina al tema con un’illustrazione che vale più di mille parole: l’evoluzione dell’uomo dalla scimmia all’essere umano curvo sulla scrivania, passando dalla clava al laptop. Un paradosso visivo che ci racconta un fenomeno reale e diffuso: il “tech neck”, letteralmente “collo da tecnologia”. Il termine fa sorridere, ma le conseguenze lo fanno meno: tensione muscolare cronica, dolori cervicali, mal di testa, cattiva circolazione, formicolii, perfino una piccola gobba alla base del collo. E non è solo una questione estetica: è biomeccanica.

Secondo l’esperto di postura Eelco Sander Dalton, autore del libro Posture Power, mantenere una postura scorretta per ore incide su tutto il corpo. Una cattiva postura crea dolori muscolari e articolari, scrive Dalton, ma anche problemi respiratori e digestivi. Quando ci sediamo male – con le spalle chiuse, il torace compresso, la testa spinta in avanti – non solo carichiamo eccessivamente la colonna, ma compromettiamo funzioni vitali: la respirazione si accorcia, la digestione si rallenta, la concentrazione cala.

Il corpo umano, banalmente, non è progettato per restare seduto. Siamo nati per camminare, correre, piegarci, rialzarci. E invece trascorriamo gran parte della giornata davanti a uno schermo, in una posizione innaturale, fermi, spesso con la testa china e le braccia proiettate in avanti. In media, un adulto passa dalle 6 alle 9 ore al giorno seduto. E per molti – studenti, impiegati, creativi, dirigenti, giornalisti – questa è la condizione di lavoro standard. Difficile cambiarla. Ma si può almeno renderla meno dannosa.

Dalton suggerisce alcuni esercizi semplici ma efficaci. Per esempio: sdraiarsi supini, rilassare il collo su un asciugamano arrotolato, tenere le braccia aperte con i palmi rivolti verso l’alto, restare in questa posizione per dieci minuti. Oppure appoggiare le gambe su un divano o una sedia e distendere la schiena sul pavimento, respirando profondamente. Non serve una palestra. Serve attenzione. E un pizzico di disciplina.

Il problema, però, non è solo fisico. Una postura sbagliata condiziona anche l’umore. Testa bassa, spalle chiuse, sguardo fisso: è la posa dell’ansia, della rinuncia, della chiusura in sé. Raddrizzarsi non è solo una questione di schiena, ma di atteggiamento. Una postura più aperta influisce positivamente sull’umore, sulla sicurezza in sé, sulla qualità delle relazioni. Il corpo comunica, anche quando non parliamo. E oggi abbiamo dimenticato come farlo. La pandemia ha aggravato tutto. Mesi di smart working in ambienti non attrezzati – cucine, letti, divani – hanno normalizzato posture assurde: videoconferenze dal letto, email scritte dal divano, riunioni seguite in pigiama senza mai alzarsi. I danni, spesso silenziosi, si fanno sentire adesso: cervicalgie, sciatiche, tensioni croniche, problemi digestivi, insonnia.  Tuttavia, non si tratta di demonizzare chi lavora al computer. Né di colpevolizzare chi ha un lavoro sedentario. Milioni di persone  passano ore seduti perché è ciò che la loro professione richiede. E va benissimo così. Non è il lavoro d’ufficio a essere sbagliato: è l’idea che basti “resistere” alla scrivania per otto ore senza alcun adattamento. L’obiettivo, semmai, è imparare a compensare. A ridurre i danni. A trattare il corpo con lo stesso rispetto con cui aggiorniamo il sistema operativo del pc. Una buona postura non è un capriccio da salutisti. E’ una forma elementare di manutenzione. Alcuni piccoli gesti possono fare la differenza: tenere il monitor all’altezza degli occhi, usare una sedia ergonomica, appoggiare i piedi bene a terra, alzarsi ogni mezz’ora, fare stretching anche solo per due minuti. Bastano dieci respiri profondi, una torsione del busto, qualche circonduzione delle spalle. Non sono miracoli. Ma sono alleati. Anche la consapevolezza conta. Sapere che quel dolore dietro al collo non è “vecchiaia” ma postura. Sapere che la stanchezza serale, quella che non passa nemmeno dormendo, potrebbe non essere mentale ma muscolare.

E allora, raddrizzarsi può diventare un piccolo gesto politico. Un modo per dire: mi prendo cura di me anche mentre lavoro. Non delego tutto al medico, al fisioterapista. Ascolto il corpo prima che urli. Forse  il vero salto evolutivo non è stato imparare a stare in piedi. Ma imparare a sedersi bene. O almeno,  trovare un modo per porvi rimedio. Con equilibrio, senza colpevolizzarsi, ma con un pizzico di responsabilità. Anche questo è un segno di civiltà. Anche questo, oggi, è fitness.