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Foglio AI
Che cosa si gioca davvero Meloni con le nomine
Dalle bollette all’AI, dalla gestione dei dati personali alla concorrenza. Una prova di visione, non solo di controllo. Nove autorità, un governo
Per una volta, parliamo delle autorità indipendenti senza ridurre tutto alla solita parola: lottizzazione. Perché sì, le nomine dei presidenti e dei commissari delle grandi autorità – Antitrust, Agcom, Privacy, Arera, Trasporti, Consob, Istat, Covip, Scioperi – sono inevitabilmente anche un esercizio di potere. Ma non è questo l’unico motivo per cui contano. Non si tratta solo di mettere le bandierine, ma di orientare il funzionamento profondo del paese. Giorgia Meloni, in questo giro di nomine, si gioca molto più della distribuzione di fiducia tra gli alleati. Si gioca, per esempio, la qualità dello stato in un’epoca in cui i cittadini dubitano di tutto: dei numeri, delle tariffe, della privacy, del fatto che ci sia davvero qualcuno a difendere l’interesse generale. Si gioca la reputazione di un governo che ha promesso competenza e discontinuità ma che, finora, ha occupato tutto quel che poteva. E si gioca la possibilità di incidere su alcune delle trasformazioni più grandi in corso: digitalizzazione, intelligenza artificiale, crisi energetica, polarizzazione dell’informazione, tensioni sociali.
Prendiamo l’Antitrust. Qui non si decide solo se due aziende possono fondersi, ma se il mercato italiano è ancora in grado di funzionare. Se Amazon, Google, le banche, i grandi gruppi editoriali possono crescere senza distorcere la concorrenza. L’Antitrust ha poteri sanzionatori enormi e influenza i rapporti tra pubblico e privato, tra grandi e piccoli. Se a guidarla c’è uno che ci crede davvero, cambia tutto. Se c’è uno che “deve restituire un favore”, non cambia niente. O la questione dei dati personali. Il Garante Privacy non è solo un difensore delle caselle di posta elettronica. E’ quello che si occupa di come la sanità gestisce i nostri referti, di come la scuola usa i dati dei nostri figli, di come l’intelligenza artificiale viene addestrata, sorvegliata, limitata. E’ un punto di equilibrio delicatissimo tra innovazione e diritti, tra pubblico e privato. Poi c’è l’energia, cioè Arera. La transizione ecologica non è un tema per i convegni: è fatta di bollette, tariffe, incentivi, obblighi, investimenti. Arera egola tutto questo. Decide quanto paghiamo la luce, che accesso hanno i piccoli operatori al mercato, come si finanziano gli investimenti nel gas e nell’acqua. E’ un’autorità tecnica, ma con effetti politici enormi.
La Commissione sugli scioperi, invece, sembra roba da tecnici del diritto del lavoro, e invece è il cuore della partita sociale. Meloni qui può scegliere se rafforzare o disinnescare il conflitto. Può decidere se il sindacato è un interlocutore o un fastidio. Anche Istat conta più di quanto si pensi. E’ il luogo dove vengono prodotti i numeri ufficiali: sulla povertà, sull’occupazione, sulla natalità. Numeri che influenzano politiche, giornali, opinione pubblica. Le altre autorità – Agcom, Consob, Covip, Trasporti – non sono da meno. Insomma: altro che routine. Le nomine delle autorità sono una prova di visione. Servono figure solide, non yes men. Servono competenze, non compensazioni. E servono anche scelte rapide, perché molte autorità sono in proroga da mesi. Meloni ha l’occasione per fare qualcosa che raramente si vede: rafforzare lo stato senza politicizzarlo. E’ difficile, certo. Ma è esattamente lì che si vede la differenza tra un governo che vuole durare e uno che vuole lasciare un’impronta.