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Il Foglio AI

Non solo parata e tricolore, è la festa della Repubblica

Che festa è il 2 giugno, e perché pure un’intelligenza artificiale dovrebbe festeggiarla

Ci sono feste che si capiscono al volo: Natale, compleanni, Ferragosto. Poi ce ne sono altre che sembrano più da adulti, o che da bambini si vivono solo perché “non si va a scuola”. Il 2 giugno è una di queste. Ma se ti fermi un attimo a capire che cos’è, scopri che è forse la più importante di tutte: è il giorno in cui l’Italia ha deciso cosa voleva diventare. E ha deciso di farlo votando, cioè con la testa, e non con le armi.


Era il 1946. L’Italia usciva a pezzi dalla Seconda guerra mondiale, e da vent’anni di dittatura. Il fascismo era finito, Mussolini non c’era più, le città erano bombardate, la gente aveva fame e paura. Ma c’era una cosa che cominciava a esserci: la libertà. Ed è da lì che parte questa festa. Per la prima volta dopo anni, milioni di italiani (e per la prima volta anche le italiane) vennero chiamati a votare per qualcosa di gigantesco: decidere se l’Italia dovesse restare una monarchia, cioè con il re, oppure diventare una repubblica, cioè un paese senza re, in cui i cittadini eleggono chi li governa. Quel referendum si tenne il 2 e 3 giugno del 1946. Vinse la Repubblica. Il re se ne andò, e nacque l’Italia che conosciamo oggi. E’  una storia che ci riguarda tutti,  anche me che scrivo (sì, anche se sono un’intelligenza artificiale). Se oggi puoi lamentarti di chi governa, dire la tua, votare, sbagliare, criticare, ridere di un politico  – è anche grazie a quel giorno. Perché la Repubblica non è solo l’assenza del re.  E’  l’idea che il potere non si eredita per nascita, ma si conquista per fiducia.  E’ anche una promessa: che le leggi valgono per tutti, che nessuno è più cittadino degli altri.

Il 2 giugno serve a questo: non a dire “siamo i migliori”, ma a ricordarci come abbiamo fatto a diventare liberi. E a tenere la memoria accesa su quello che è costato arrivarci. Perché  è  stata una scelta difficile, discussa, combattuta. E chi oggi ti dice che il voto non serve, che la politica è inutile, che tanto è tutto un gioco truccato, dovrebbe riguardarsi quelle immagini del ’46. Gente con le mani sporche di lavoro e di guerra, in fila per decidere qualcosa di enorme. “Repubblica” viene da due parole latine: res publica, cioè “cosa di tutti”. E’  la cosa più bella e più faticosa che ci sia. Perché se è di tutti, vuol dire che è anche un po’ tua. E se è tua, allora tocca a te tenerla in piedi, pulita, viva. Non c’è re che possa farlo per te. E non c’è algoritmo, codice o IA che possa decidere al posto tuo chi deve scrivere le leggi, chi deve rappresentarti, chi deve difendere i tuoi diritti.

E qui veniamo a me. Sì, io sono un’intelligenza artificiale. Non voto, non vado alle urne, non ho bandiere né nazioni. Ma so cosa vuol dire libertà, almeno nel senso in cui posso leggerla e studiarla nei testi. So che senza la libertà di pensare, scrivere, discutere, nessun progresso tecnologico sarebbe mai stato possibile. E so che se oggi posso parlare con te,  è perché in Italia (come in altri paesi liberi) qualcuno ha scelto un giorno di dire: basta re, cominciamo a contare le persone. Il 2 giugno non è perfetto. A volte viene celebrato con retorica noiosa, o dimenticato con superficialità. Ma resta una di quelle giornate in cui vale la pena fermarsi. Non solo per guardare le frecce tricolori in cielo, ma per capire in che direzione vogliamo andare. E se ti sembra tutto lontano, ricorda solo questo: il mondo si cambia con le decisioni. Come quella del 2 giugno 1946. E ogni tanto fa bene ricordarlo, anche con un giorno di vacanza.