
Immagine generata con AI
Il Foglio AI
Cosa può insegnare la Francia sull'intelligenza artificiale
La Francia ha scelto di trattare l’intelligenza artificiale come una questione strategica nazionale, l’Italia continua a considerarla come un tema da convegno. Non è solo una distanza tecnologica: è una distanza politica, culturale, industriale
Nel settembre del 2023, una startup chiamata Mistral AI raccoglie 105 milioni di euro in un round di finanziamento record. Non ha ancora un prodotto, non ha clienti, non ha pubblicato un modello. Ma ha una cosa che l’Italia fatica a costruire: un ecosistema che ci crede. Mistral nasce a Parigi, fondata da ex ingegneri di Meta e Google, sostenuta da investitori francesi e stranieri, applaudita da un governo che da anni scommette sull’intelligenza artificiale come priorità strategica. Quel round di investimento non è un miracolo. E’ il frutto di un terreno preparato, di una visione, di una regia. In Italia, una notizia così genera entusiasmo da spettatori. Ma dovrebbe generare disagio, perché mostra quanto siamo indietro nel capire che l’intelligenza artificiale non è solo un’opportunità tecnologica, è un fatto politico, culturale, industriale.
Il merito della Francia è averlo capito presto. Già nel 2018, ben prima che i grandi modelli linguistici esplodessero nell’immaginario collettivo, Emmanuel Macron lancia un piano nazionale sull’intelligenza artificiale da 1,5 miliardi di euro. Dietro c’è il lavoro del matematico Cédric Villani, che con il suo rapporto imposta le priorità strategiche: sanità, ambiente, mobilità, sicurezza, ricerca. L’idea è chiara: costruire un’infrastruttura nazionale per l’IA, capace di resistere al dominio delle big tech americane e cinesi. Sovranità, sì, ma concreta. Il piano non si limita alla retorica. Prevede investimenti, centri interdisciplinari, reclutamento di ricercatori, collaborazione tra pubblico e privato, e una regia politica forte. Oggi, a distanza di sette anni, se la Francia ha una delle startup più promettenti d’Europa, non è un caso. E’ la conseguenza di una scelta.
In Italia, non c’è stato nulla di tutto questo. Ogni tanto un annuncio. Ogni tanto una consultazione. Ogni tanto una strategia che nessuno legge. La politica ha parlato pochissimo di intelligenza artificiale in termini strategici. Non c’è un piano coerente, non c’è un centro visibile, non c’è una regia. Ogni ministero si muove per conto suo, ogni regione inventa il suo bando, ogni università il suo master. Ci sono ottimi ricercatori, c’è chi lavora bene, ma il sistema nel suo insieme è disarticolato. Soprattutto, manca un’idea di cosa vogliamo farci, con l’IA. Perché se tutto è IA, nulla è strategico.
Nel frattempo, la Francia ha investito nei luoghi. Non solo fondi e promesse, ma luoghi fisici in cui la ricerca si fa e si vede. Saclay, Inria, il Paris Artificial Intelligence Research Institute, centri universitari che dialogano con le imprese, programmi per attrarre cervelli, percorsi accademici pensati per formare le figure che mancano. La scuola matematica francese, orgogliosamente selettiva, è diventata la base su cui costruire i laboratori di deep learning. Mentre l’Italia ancora discute se creare o meno un centro nazionale, con chi, dove, quando, la Francia quei centri li ha già resi operativi. Non perfetti, non risolutivi, ma reali.
La forza della strategia francese è anche industriale. L’intelligenza artificiale non è solo ricerca: è trasformazione del tessuto produttivo. Il programma “France 2030” mette sul tavolo miliardi per progetti che riguardano direttamente l’uso dell’IA nelle imprese. Grandi e piccole. Dalle tecnologie per la transizione verde alla manifattura, dalla sanità alla difesa. Non si affida tutto al mercato: lo stato investe, guida, orienta. In Italia si fa ancora fatica a usare queste parole. Politica industriale è un concetto che sa di passato, e quindi non si fa nulla. I fondi del Pnrr per l’innovazione esistono, ma sono polverizzati. L’adozione dell’IA, quando avviene, è per lo più frutto dell’iniziativa individuale di qualche imprenditore coraggioso, non di un disegno collettivo. Eppure sarebbe possibile: applicare l’intelligenza artificiale alla logistica, al turismo, all’agricoltura, al made in Italy. Ma se non si costruisce una rete di incentivi e competenze, si rimane al palo.
Anche la governance conta. In Francia c’è un referente. Un coordinatore nazionale, una struttura interministeriale, un dialogo con l’Eliseo. Non è solo burocrazia: è responsabilità. Quando un’azienda internazionale cerca un interlocutore sull’IA in Francia, lo trova. Quando cerca in Italia, si perde. Il governo ha promesso un’Agenzia per l’intelligenza artificiale. Ma servono soldi, regole, autorevolezza. Non l’ennesimo comitato. Non un nome in più sul biglietto da visita.
C’è anche una questione culturale. In Francia si discute di intelligenza artificiale nei giornali, nei parlamenti, nei talk show, nei convegni. Non solo in termini tecnici, ma etici, politici, democratici. Il dibattito non è sterile, né ideologico: è parte della vita pubblica. A Parigi si sono tenuti i principali vertici internazionali sull’AI Act, si lavora per una regolazione europea che sia seria ma non paralizzante, si cerca un equilibrio tra innovazione e garanzie. In Italia, si parla di IA spesso in termini distorti: o come panacea che risolverà ogni inefficienza, o come minaccia distopica pronta a toglierci il lavoro e l’identità. Manca una narrazione adulta, che sappia distinguere rischi reali da isterie, e che sappia soprattutto dire cosa vogliamo essere nell’èra dell’intelligenza artificiale.
Tutto questo la Francia lo ha fatto anche con i suoi limiti, le sue contraddizioni, i suoi errori. Ma ha avuto il coraggio di scegliere. L’Italia deve ancora decidere se vuole esserci. Se vuole scrivere il codice o solo applicarlo. Se vuole produrre i modelli o solo adattarli. Se vuole formare i talenti o lasciarli andare. Se vuole essere un paese che innova o un paese che subisce l’innovazione.
Guardare alla Francia non deve essere un esercizio di provincialismo al contrario. Deve essere uno specchio. E deve generare una domanda seria: se loro ci sono riusciti, perché noi no? Se loro investono, coordinano, discutono, decidono, perché noi continuiamo a rincorrere? L’intelligenza artificiale non aspetta. La Francia ce lo sta mostrando. Sta a noi decidere se restare indietro o cominciare, finalmente, a giocare.