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Foglio AI

Il sermone putiniano di Lavrov

Il ministro russo parla e rivela solo la nostalgia imperiale del Cremlino. Gli utili idioti applaudono

Ci sono discorsi che andrebbero studiati non per ciò che dicono, ma per ciò che rivelano. Quello pronunciato da Sergei Lavrov nei giorni scorsi è uno di questi. Un florilegio di menzogne storiche, vittimismo imperiale e revisionismo geopolitico che però, come ogni buon sermone autoritario, riesce sempre a trovare un pubblico di entusiasti – tra l’estrema destra e l’estrema sinistra europee – pronto a prenderlo sul serio. Non per amor di verità, ma per comodità ideologica. Perché fa comodo raccontarsi che se c’è una guerra in Ucraina è colpa dell’Ucraina. O della Nato. O della Ue. Tutto, pur di non vedere l’elefante nella stanza: il putinismo. 


Lavrov ci spiega che tutto è cominciato con l’Iraq, con la Libia, con le menzogne occidentali sulle armi di distruzione di massa. Una grande lavagna dei torti, comoda per ogni nostalgico della Guerra fredda: se l’occidente ha sbagliato, allora la Russia è innocente. Ma la storia non funziona così. Le colpe dell’occidente non cancellano l’aggressione russa. La guerra in Ucraina non è figlia di un incidente diplomatico o di una provocazione della Nato, ma di una visione del mondo in cui i confini sono opinabili, le identità nazionali negoziabili e il potere giustifica tutto. Il putinismo, infatti, non è solo un regime: è un’ideologia. E come tutte le ideologie, ha un bisogno disperato di essere creduta. Racconta che la Russia è assediata, che il mondo è governato da un’élite decadente, che l’occidente è ipocrita e malato. E soprattutto racconta che Mosca ha il diritto – anzi, il dovere – di “difendersi” espandendosi.  Chi ascolta Lavrov senza battere ciglio dovrebbe porsi una domanda semplice: che cosa propone esattamente la Russia come alternativa al “mondo unipolare” che tanto disprezza? Un’Asia governata da autocrazie amiche, un’Europa divisa, una Nato indebolita, un’Ucraina sottomessa.

E’ un mondo in cui non esistono più popoli liberi ma solo zone d’influenza, un mondo dove le guerre non si dichiarano ma si giustificano con il diritto alla “autodeterminazione” a geometria variabile. La stessa autodeterminazione che vale per la Crimea, ma non per i ceceni. Che vale per il Donbas, ma non per i siriani uccisi da Assad con il placet russo. Lavrov si lamenta che l’Europa non voglia più parlare con lui. Se uno entra in casa tua, ti bombarda il giardino e poi ti chiede “parliamone con calma”, il problema non è la mancanza di diplomazia, ma l’evidente distorsione della realtà. Eppure c’è ancora chi, in buona o cattiva fede, si presta a questo teatrino. Sono gli utili idioti del XXI secolo. Quelli che dicono: “Putin non è un santo, ma...” – e quel “ma” è sempre la premessa per assolverlo. No, il punto non è “capire” la Russia. Il punto è capire che il putinismo è incompatibile con l’idea di libertà che l’Europa ha faticosamente costruito. Che una guerra non è solo un errore strategico, ma il sintomo di un sistema politico basato sull’impunità. E che finché quel sistema sarà al potere a Mosca, nessuna tregua sarà davvero una pace. Lavrov parla di “Eurasia” come di una grande civiltà armonica, da contrapporre all’arroganza occidentale. Ma dietro quell’utopia si cela l’ossessione russa di controllare, influenzare, sottomettere. Non è geopolitica, è nostalgia imperiale. E la nostalgia imperiale, quando è armata, non si ferma mai da sola. Chi oggi finge di non vedere che la guerra in Ucraina è la manifestazione brutale di un’ideologia autoritaria, sarà il primo a stupirsi quando quella stessa ideologia busserà alla sua porta. Con i carri armati.