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il figlio
La volgarità dei buoni propositi di Natale e le città di pianura
Contro la polizia morale della fine dell’anno: sedersi al cinema di pomeriggio
E’ da quando ho letto questo titolo, Le città di pianura, che fremo per andare al cinema a vedere il film. Credevo di averlo mancarto, ogni lasciata è persa, non è un buon segno, neanche un proposito così semplice riesci a rispettare, che anno sarà l’anno che verrà? Caratteristica di dicembre, e in particolare dei giorni prima di Natale, è che tutto assume un significato più grande, minaccioso. Quanti passi ho fatto oggi? Troppo pochi, ti si rovina la media, è un anno buttato. Quanti film hai visto quest’anno? Novantotto, se non arrivo a cento mi ammazzo. Quanti problemi hai risolto? Nessuno. Liste su liste, obiettivi non raggiunti, regali non comprati, questioni rimandate: se entro il venti dicembre non hai sistemato la finestra del bagno, significa che non mi hai mai amato. Se domani le luci dell’albero, già così tremolanti, si fulminano, porterà sfortuna per sempre. E’ un misto di scaramanzia, mania di controllo, fatalismo, speranza, oroscopo, ottimismo e nevrosi. Potessi dire a Dickens che non esiste solo un pessimo spirito del Natale, non esiste solo la disperazione, ma esiste anche l’ansia di non riuscire a fare tutto, sono sicura che scriverebbe un grande racconto, pieno di persone che corrono avanti e indietro e controllano i ritardi dei treni, esagerano con i buoni propositi, dicono sì a tutti e poi si fanno rubare i trolley.
Ma ieri, incredibilmente, sono passata davanti a un cinema, mentre pioveva e non avevo un ombrello, e c’era ancora Le città di pianura. Non è forse anche questo un segno? mi sono detta. Mi dico molte cose ultimamente, e non sono quasi mai d’accordo. Non fare la stupida, spegni il telefono, vediti questo film che ti chiama da due mesi. Di spegnere il telefono non se ne parla, ho risposto a me stessa, però per il resto ok. Sono entrata al cinema, ho comprato il biglietto, ho avuto l’impressione che mi guardassero tutti in modo strano (cosa ci fa questa qui alle diciotto e trenta?), ma c’era quella cosa meravigliosa del posto non assegnato, potevo scegliere liberamente dove sedermi. E mi sono seduta, incredula, aspettavo che da un momento all’altro arrivasse la polizia morale dei giorni di Natale a portarmi via per un braccio: non hai ancora fatto niente di tutto quello che devi, non permetterti di sederti su questa poltrona, sei un’irresponsabile! Per amore di verità devo dire che ho fatto in tempo ad accorgermi che c’erano solo maschi al cinema a quell’ora. Esenti dalla polizia morale dei giorni di Natale?
E poi si sono spente le luci. E questo film mostra posti che conosco anche se non li ho mai visti, facce che conosco anche se non le ho mai incontrate, un sentimento che conosco e da cui sono scappata ma che ovviamente continuo a cercare. Non lo voglio raccontare qui, andate al cinema anche voi, ma è un sentimento capace di espandersi intorno al cuore e di riscaldarlo. Fa pensare che tutti questi buoni propositi che tanto ci perseguitano, queste liste a cui bisogna arrivare in fondo, contengono un certo grado di volgarità. E chi sono io per fare liste e pretendere di esaurirle con le mie azioni? Posso sempre, invece, andare a fare un giro a Venezia di notte e poi tornare a casa domani. A un certo punto il vecchio sulla porta di casa dice a uno dei protagonisti: “Ma non crescete mai?”, e lui ha il sole negli occhi, li stringe, sorride e risponde: “Siamo troppo vecchi per crescere”. Intanto, però, io sono a novantanove film. Sto per farcela. E sono troppo vecchia per crescere.