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Il Figlio

Il tuo viso è da sempre nel mondo: ti ho riconosciuta appena ti ho vista

Michele Neri

In "Il libro di tutti gli amori" di Agustín Fernandéz Mallo, l'amore diventa una "fantasia esatta". Il dialogo misticamente sensuale di una coppia scampata allo sterminio planetario è interrotto dagli assalti sperimentali per definire ogni amore noto o improbabile

"Per immaginare gli effetti di una civiltà svuotata da una delle tante catastrofi annunciate, si può pensare a quella particolare città di materie e rituali creata nel tempo dall’amore quando l’amore finisce, così che quell’universo a due diventa un luogo di macerie, in cui “nemmeno gli amanti potranno tornare a solcarne le strade”. Siamo tra le innumerevoli visioni che saldano l’intimità carnale e sentimentale a un futuro post-apocalittico di un libro romantico quanto paradossalmente logico, un viaggio sull’unica navicella spaziale capace di farci superare l’orizzonte agitato su cui l’umanità si affaccia: quella dell’amore; perché l’amore è una fantasia, “ma una fantasia esatta”. Non è semplice leggere Agustín Fernandéz Mallo, ma chi altro è capace di convincerci, mentre c’intrattiene su più livelli, del fatto che “l’amore sarà l’unica cosa che, nella sua fuga verso l’infinito, potrà accompagnare la tecnologia”?

 

Il libro di tutti gli amori (traduzione di Silvia Lavina, pubblicato da Utopia) rispetta la passione dell’autore per la tripartizione: il dialogo secco, misticamente sensuale di una coppia – l’unica, robinsoniana – scampata allo sterminio planetario del “Grande Blackout”, è interrotto dal procedere costante di assalti sperimentali per definire ogni amore noto o improbabile, partendo da incursioni in tutti i saperi, dalla fisiologia dei serpenti, alla geologia, al deep web, alle religioni e alle filosofie.

 

E’ l’amore esponenziale quando la tecnologia acquisterà pulsione amorosa. L’amore sottolineatura: “Amare significa affrontare la riscrittura dell’altro”, come sabbia che riscrive il paesaggio delle nostre strade interiori, fino a quel giorno ritenute concluse. L’amore che ci fa creare senza aver niente in mano: “L’amore è apofenia definitiva, rumore interpretato, macchia che appare dal nulla e a cui attribuiamo, con assoluta certezza, una forma comprensibile…”.

 

Tra dialoghi e tesi sperimentali, si espande una novella veneziana in quattro parti: una scrittrice e un professore di latino affrontano gli ultimi giorni di una normalità che si sgretola tra calli, presenze premonitrici, canali, mentre nulla può fermare un nuovo ordine terrestre distruttivo dell’amore. Pagine che ricordano un’altra splendida prova chimerica di Mallo, (Trilogia della guerra) che non teme di affrontare le analogie tra morte e nascita delle stelle con il potere dell’uomo di rigenerarsi dalle ferite; dove i luoghi della fine– qui Venezia, nel precedente un campo di concentramento spagnolo, il Vietnam, la costa della Normandia – offrono un varco in cui infilarsi.

 

Per gli ultimi umani non resta che conoscere il kit amoroso della sopravvivenza: per esempio “un fiammifero che qualcuno accende senza scopo né motivo, nonostante ogni vita finisca per convertirsi nell’anima di un marchio già registrato (Amore fiammifero)”. Hanno bisogno di quella particolare luce che fa vedere ciò che la ragione non riesce a vedere, perché non osa mettersi in discussione abbastanza. Come dice Thelonious Monk, citato da Mallo: “E’ sempre notte, altrimenti non avremmo bisogno della luce”.

 

Nel silenzioso mondo post-apocalittico, i due superstiti tornano a guardarsi come fosse per la prima volta:

“Lei gli disse: A volte, quando nella valle sorge il sole e tu ancora dormi e attraverso l’alba inizia a illuminare il tuo corpo, sembri una persona che i miei occhi non hanno mai visto prima (…).

Lui le disse: Il tuo volto, come l’acqua e l’uranio (…) come la corona solare e la scrittura, esisteva già prima della tua nascita. Il tuo volto è da sempre tra gli uomini. Per questo ti ho riconosciuta appena ti ho vista”.

 

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