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Il Figlio

Quante storie, non sei la prima che allatta. Sei o no invidiosa dei miei muscoli?

Giuseppina Torre

La gioia di vedere il proprio figlio per la prima volta, mentre la ferita del cesareo si rimargina. Il rapporto con un marito abbastanza assente, abituato a frequentare assiduamente la palestra e a controllare qualsiasi cosa. L'estratto dal libro di Giuseppina Torre , con Barbara Visentin

Quando guardammo nostro figlio per la prima volta, quel giorno di maggio del 2006, fummo entrambi inequivocabilmente e assolutamente felici. Mi avevano fatto il cesareo e i primi giorni di allattamento furono molto dolorosi. Una volta venne a trovarmi in ospedale e mi vide piangere: ne fu contrariato. Non ero certo la prima donna al mondo che allattava, e non ne aveva mai vista nessuna piangere. Cos’erano quelle lacrime, tutte quelle storie? Tornati a casa, il suo primo pensiero fu dare una festa, invitando anche i suoi clienti di lavoro. Ero contenta che volesse comunicare la sua e la nostra felicità, ma io ancora avevo i punti e avrei preferito qualche giorno di tranquillità. Mio marito avrebbe voluto riprendere subito a fare sesso, ma oltre alla stanchezza per la mancanza di sonno, la ferita del cesareo si stava ancora rimarginando e, anche volendo, non ce l’avrei fatta. Lui, per contro, si spazientiva se anche solo gli chiedevo una mano per mettere e togliere i pantaloni, cercando di usare un po’ di accortezza per la cicatrice. Presto cominciò a sentirsi rifiutato e a lamentarsi: ora che c’era il picciriddu, lui non esisteva più.

Mi dicevo che le cose si sarebbero sistemate: come in ogni famiglia, adattarsi alla nuova vita non era facile. A maggior ragione perché la nostra famiglia aveva un’impostazione molto “tradizionale”: la cura del bambino e della casa spettavano a me, alla donna. Lui non si alzava di notte, non lo cullava per farlo smettere di piangere: anzi, mi esortava a non prenderlo in braccio per non viziarlo. Quando tornava a casa per pranzo, dovevo sperare che il bambino dormisse e stesse tranquillo. In un’occasione, capitò un pianto che si rivelò peggiore del solito, ma comunque mi fu ordinato di non avvicinarmi: doveva smettere da solo. Il bimbo non smise, divenne paonazzo, gli mancò l’aria: corsi a prenderlo e gli diedi dei colpetti sulle spalle per fargli riprendere fiato. Fu una tortura, oltre che uno spavento. 

Lui lavorava molto ed era abbastanza assente, così il piccolo passava gran parte del suo tempo con me, tanto che finii per trascurare il pianoforte, mettendo in pausa a lungo la mia attività concertistica. I primi Lego, io e lui. I primi tiri a calcio, io e lui. E purtroppo, quando fu un po’ più grande, il tentativo di instradarlo verso il tennis, grande passione del padre, fu un clamoroso insuccesso: mio marito non era un istruttore paziente. Quando sbagliava, gli lanciava una pallina contro, dicendogli che era negato e scimunito, proprio come sua madre

La colpa, infatti, alla fine dei conti era mia: stavo rovinando il bambino, cresceva come ’na femminedda, attaccato alle mie gonne, spaventato anche dalla sua ombra. Non forte e coraggioso come il padre. Per mio marito, la forma fisica era importante: andava assiduamente in palestra e, per un periodo, pretese che ci andassi anch’io. Mi pungolava: ero invidiosa o no dei suoi addominali? “Io, invidiosa del fisico di un uomo? Veramente no” gli rispondevo. “Potrei essere invidiosa del fisico di una donna, semmai. E comunque, se stai facendo tutto questo per apparire, se è in qualche modo per me che lo fai, non è proprio quello che io guardo in una persona.” Ma lui si era lanciato alla ricerca della perfezione, il che implicava anche una dieta severa: niente fritti e niente sgarri. Ovviamente, questo costringeva anche noi a un regime a base di petti di pollo arrosto e tonno scottato, cibi che in seguito, per anni, non avrei più potuto nemmeno vedere. Lui aveva il controllo del fisico e anche il controllo del cibo. Aveva il controllo di tutto.
   


   

Abbiamo pubblicato un estratto di “Un piano per rinascere”, di Giuseppina Torre (con Barbara Visentin). 
Solferino editore (192 pp)

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