
(foto Ansa)
il figlio
La fine della scuola non è più la stessa. Per fortuna c'è Cechov
Smettila di leggere, gioca un po’ alla Play. Le parole che non credevo avrei mai detto
La fine della scuola non è più la stessa, da quando il tempo ha deciso di fare un balzo in avanti e cambiare tutto in ottanta secondi. Non ha più la stessa cruciale importanza, le lacrime, l’attesa, l’euforia, l’incubo della cena di classe distopica con le madri accanite e i padri che parlano di calcio, e io non sono più disperata come quando dicevo: e adesso?, ritrovandomi due nanerottoli per casa che aspettavano dalle sei del mattino di essere portati al mare. Adesso al mare ci vanno da soli, non si sa quando (molto tardi), non si sa con chi, non si sa se in treno o in automobili sottratte ai genitori con l’inganno, la patente presa il giorno prima, il cane sul sedile davanti. Ci vanno senza crema solare, senza costume da bagno, senza paletta e secchiello (ma come? Non devi fare i castelli di sabbia?, ma insomma dai era una battuta), ci vanno senza dirmi quando tornano e dove dormono. Dove dormi? Mah, là. Quando torni? Non lo so. Va bene, ma non tornate di notte ok? Ok. Mia figlia infatti è tornata di notte.
Io avevo deciso di non preoccuparmi, e ogni volta che decido di non preoccuparmi leggo i racconti di Cechov. Mi sembra che lì dentro non possa succedermi niente di male. Ma poiché sentivo che mi stavo preoccupando lo stesso, ho deciso che non bastava leggere, ci voleva l’audiolibro. La signora col cagnolino è il massimo che c’è, ma chiaramente pone alcune questioni molto serie, come quella della felicità, e dalla felicità alla disperazione è un attimo. Notte alta ed ero sveglia, sul divano, al buio, con Cechov nelle orecchie, quando qualcosa mi è saltato accanto. Il gatto? Il cane? Tutti i gatti e il cane insieme? Un ladro? Era mio figlio, che sta facendo una sfida di lettura (il mondo capovolto) e si è imposto di leggere cento pagine al giorno del Conte di Montecristo, in modo da avere abbastanza tempo, poi, per leggere tutti i libri che ancora non ha letto. Nel mondo capovolto, in questa realtà aumentata, ci sono io che gli dico: smettila di leggere, gioca un po’ alla Playstation, guardiamo un film, giochiamo a poker, fumati una sigaretta, e c’è lui che mi risponde: mamma sono in ritardo, ho già perso troppo tempo. Allora io gli dico: hai sedici anni, ti prego non fare il fanatico. E lui dice: certo che sei strana, mamma.
Comunque l’altra sera mi è saltato accanto, con il suo Conte di Montecristo che pesa tre chili e mi è finito dritto sul ginocchio. Ha detto: ma mia sorella è tornata? No amore, non è tornata, è per questo che io ascolto i racconti di Cechov, dove le sorelle sono sempre buonissime e pallide e attente a non uscire di casa quando fa buio. Allora mio figlio ha detto: io se avrò dei figli non li lascerò uscire mai, mi preoccupo troppo. E ha telefonato a sua sorella, che ovviamente non gli ha risposto, come non aveva risposto a me un’ora prima. Gli ho detto, rassegnata ma decisa ad avere un contegno russo: dai, leggiamo. Ma in quel momento la sorella, poco Cechov e molto Montecristo, ha richiamato. E in quel buio che si andava colorando di rosa ho sentito la vocina squillante uscire dal telefono di mio figlio: scialla fratè, due minuti e salgo. Ho sentito un’ondata di gratitudine: per Cechov, per Dumas, per mio figlio che si preoccupa, per chi guidava l’auto che ha riportato a casa mia figlia e per questa fine della scuola che non è mai stata più diversa di così. Erano ormai quasi le cinque del mattino, avevano tutti fame, e allora abbiamo festeggiato questo inizio di estate con mezzo chilo di spaghetti al pomodoro.