
Il Figlio
“Il vostro silenzio non vi proteggerà”: il libro di Caterina Venturini su Audre Lorde e la forza del raccontarsi
State facendo il vostro lavoro? Chi non rispetta le differenze non rispetta me. Un viaggio nella vita di una donna che ha sfidato modelli imposti, dando dignità politica alle ferite personali e alle identità marginalizzate
Parte tutto dall’esperienza, dalle cose vissute e da quelle ricevute, condizioni che vanno raccontate fino a farle diventare spazio politico, ideologia di libertà. Inutile incassare e stare zitti, “il vostro silenzio non vi proteggerà”, scrive Audre Lorde, e Caterina Venturini sceglie questa frase magnifica come titolo per il suo libro (Il vostro silenzio non vi proteggerà - Una storia di Audre Lorde), pubblicato da Solferino, dedicato a una delle figure di spicco del femminismo nero americano, una donna che ha espanso le frontiere del raccontabile e che sta avendo, a più di trent’anni dalla morte, quella che un giornalista del New York Times ha definito una molteplicità di “dopovite prismatiche”.
Quello di Audre Lorde, più che un’ideologia, è un metodo di espansione del dominio della lotta, che nel caso in questione è vigorosa e parte dalla biografia, ne afferra i contorni nella poesia e poi si fa eminentemente politica proprio grazie al racconto delle differenze, delle sfumature di una condizione umana che sarebbe tragico ridurre a un solo modello. Soprattutto se quel modello non esiste, o è solo quello subordinato riservato a certe minoranze come le donne, i neri, i disabili, gli omosessuali, tutte identità che Audre Lorde ha abitato e infranto attraverso il racconto anche del tumore che le ha portato via un seno, mai sostituito con una protesi.
“Ho cominciato così a riconoscere una fonte di potere dentro di me: il sapere che, pur essendo molto desiderabile non avere paura, imparare a ridimensionare la paura mi dava grande forza”, scrive Lorde, e Venturini, reduce a sua volta da una malattia e da un’operazione che le ha sottratto la voce per un periodo, ne segue passo dopo passo il pensiero. “Sono nata nel ventre della Nerezza”, figlia più scura di una famiglia di immigrati caraibici. Il razzismo è interiorizzato, la pelle chiara è desiderabile, e se per caso per strada arriva uno sputo la madre di Lorde, Audrey all’anagrafe, ha già pronti dei fogli di giornale per ripulire tutto e far finta di niente, perché se non puoi cambiare la realtà puoi sforzarti di percepirla in un modo diverso. La figlia, di suo, ha voluto proprio cambiare una realtà i cui contorni ha visto tardi, essendo nata quasi cieca, come la bambina del racconto della Ortese, e felice di poter guardare quel mondo imperfetto con il suo radicalismo, la famiglia persa in un miscuglio di fatica e nostalgia, la migliore amica suicida – “Genevieve dimmi dove le ragazze morte vagano dopo la loro estate” – e poi l’aborto, il lavoro in fabbrica, l’esposizione al tetracloruro di carbonio che le porterà il cancro, ma anche l’esperienza a Città del Messico, quel sembrare qualcosa di diverso a seconda dei luoghi, di chi la guarda, lesbica ma sposata con un uomo bianco bisessuale e madre di una bambina e di un bambino e quindi incapace di escludere il maschile dal suo campo visivo, come nel femminismo dogmatico che si faceva largo negli anni Settanta e Ottanta, quando anche la scrittrice acquisiva spazio, visibilità come una delle pensatrici più importanti del multigenere.
“Chi non rispetta le differenze non rispetta me”, ed è bellissimo vedere come queste differenze non si fanno mai blocco, noi contro voi, ma sempre espansione, senza soluzioni facili né, soprattutto, soluzioni uniche. “Non ci sono nuove sofferenze, le abbiamo già sofferte tutte”, e quindi da quelle ferite bisogna iniziare a muoversi. Autobiografia e saggio non possono essere lontani, la scrittura di sé non è mai apparsa così politicamente carica: Zami, autobiomitografia, è del 1982, diventa presto una bibbia per molte. Io sto facendo il mio lavoro, ci dice Lorde, e ci interpella: “State facendo il vostro?”