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Il Figlio

Diventare adulti, cosa molto difficile a farsi. Meglio rinunciare

Annalena Benini

È molto più facile passare da un’infanzia all’altra: parola di Francis Scott Fitzgerald

Divenire adulti, cosa terribilmente difficile a farsi. E’ molto più facile saltarla e passare da un’infanzia all’altra. 


È l’annotazione numero 404 dei taccuini di Francis Scott Fitzgerald: ho aperto il libro a caso ed eccola lì, mi aspettava e rideva di me. Si trova nella sezione: epigrammi, facezie e battute spiritose. Devo dire che non la trovo una battuta spiritosa, ma una considerazione molto saggia, che sicuramente riguarda Fitzgerald ma con altrettanta certezza riguarda noi. Riguarda me. 

Incontro un amico che non vedo da tempo, persona seria con lavoro serio, mi dice che ha compiuto un numero ragguardevole di anni ma che continua a sentirsene quindici. Parlo con la mia migliore amica, che si è innamorata e mi dice che non ci si sposta mai dai vent’anni, per sempre. Prendo il treno, vado a casa di mia madre, e a tavola mentre ricordiamo i tempi andati le chiedo: ma tu quanti anni ti senti, dentro? Un adulto con una solida vita adulta dovrebbe rispondere (e di certo in tutti i romanzi che ho letto da ragazza funzionava così): ma che razza di domanda è, ma che perdita di tempo, non hai niente di meglio da fare? Vai a dissodare un campo, invece di dire scemenze.  Lei invece mi risponde con grande dignità: diciassette. Mio padre annuisce. Apprezzo la sincerità, ma allora se gli adulti non sono da nessuna parte, io mi posso anche rilassare. Una volta, direi almeno ventincinque anni fa, ho scritto nel finale di un articolo: non si diventa adulti, solo vecchi. Mi sentivo molto arguta, anzi solenne. A poco a poco, sempre meno arguta e solenne. Poi ieri ho scritto a mio figlio, da un’altra città, che ero stanca e non ero felice di essere dov’ero, che avrei preferito andare con lui a mangiare la pizza e fare un po’ quel che mi pare, e lui mi ha scritto: vabbè mamma non ti preoccupare, alla tua età non ti manca tanto alla pensione. 

Mi sono offesa come una tredicenne, appunto (e non ho intenzione di fare considerazioni sul fatto che quale pensione, io non avrò mai la pensione, non è certo questo il senso del mio saltellare da un’infanzia all’altra). Mi sono offesa perché voglio sia essere adulta sia essere amata, sia essere libera sia mancargli molto se non torno la sera, quindi voglio che lui sia responsabile come un adulto e anche dolce e affettuoso come un bambino. 

Forse è questa la tirannide dell’infanzia (non credo che ai tempi di Fitzgerald suscitasse grande interesse la parola adolescenza): volere tutto, essere adulti e non esserlo affatto. Dire: alla mia età, con un certo sussiego, non sapendo esattamente di che cosa stiamo parlando. Alla mia età ho fatto un altro salto, in un’altra infanzia molto nostalgica verso l’infanzia di prima, che adesso mi sembra, nel ricordo, tutta ricoperta d’oro. E so che al prossimo balzo anche questa infanzia di adesso mi sembrerà tutta ricoperta d’oro. Come quando guardiamo le foto che avevamo nascosto in fondo a un cassetto perché non erano mai esistite nella storia del mondo foto tanto brutte, e adesso quelle foto spuntano sotto una pila di magliette e all’improvviso, dopo tutti questi salti in tante infanzie diverse, sembrano bellissime, splendenti. Anche a mio figlio in effetti, sembrano bellissime: com’eri giovane, sembravi anche simpatica.

Giulio ti prego, sii adulto. Anzi no: Giulio ti prego, sto cercando di essere adulta. Lui ride e dice: adulta tu? Ma no, tu non sei adulta mamma: tu sei mia madre.
 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.