Il Figlio

Metodo Proust

Fuani Marino

Finché leggo, c’è un senso. Qualcuno che mi dica dove sono il bene e il male

Ci sono figli difficili. Uno di questi è Nicola Neri, discendente diretto della Photo Generation, figlio di Michele e nipote di Grazia Neri, che nel 1966 fondò la celebre agenzia fotografica. Aveva esordito giovanissimo con Scazzi (Mondadori) scritto a quattro mani o insieme al padre, e in questo terzo libro - il memoir edito da SE After a Combray, si racconta in prima persona. Tutto comincia una domenica mattina. Il padre, seduto sul letto del figlio, cerca di farlo tornare in sé leggendogli Proust. Il ragazzo è smarrito nel proprio labirinto interiore e, dopo anni in balìa delle droghe e degli eccessi, incapace di distinguere i contorni della propria identità. Un disturbo dissociativo noto come depersonalizzazione, ovvero “una sofferenza psichica che viene descritta come un estremo non ritrovarsi. E si accompagna a sentimenti d’irrealtà. Si chiama così questa cosa in cui mi sto perdendo. Scopro che può rappresentare il primo sintomo della perdita totale di senso: l’avvisaglia della schizofrenia. Dunque sono qui, sulla soglia della follia? Una serratura che chiude male sul sottosopra. Mi agito, traballo, ma ho paura di muovermi e cadere dall’altra parte. Sento il bisogno di una mano che mi trattenga. Che cosa fare quando la sensazione più genuina è che tutto sia finto, come un set di cartapesta da buttare a fine giornata? Che cosa c’è di più sensato di impazzire, a questo punto?”.

 

Neri interroga le origini, i suoi genitori, il bambino che è stato, contro il quale era inutile ogni braccio di ferro o a cui è stata concessa ogni libertà per aggirarne la tristezza, fino alla caduta dalla giostra per ritrovarsi “in un posto davvero oscuro e pericoloso: la realtà”. Ma allora, attraverso la letteratura, il protagonista ritrova se stesso e un lessico familiare per la costruzione di senso. “Quella domenica mattina ho perduto la solita continuità dell’esperienza e così anche me stesso. Fu portandomi a Combray, che mio padre riuscì a farmi addormentare”. Scopre che, finché legge, non tutto è perduto. “I personaggi dei romanzi davano un puntello al mio nonsenso. Era da tutta la vita che cercavo qualcuno che mi dicesse cosa è bene e cosa male, un mentore, qualcuno sopra che mi togliesse potere”. Come sui banchi di scuola, circondato da maestri come Stendhal, Nabokov, Musil, Joyce, Borges (ma anche Gué Pequeno), Neri rinasce attraverso le pagine e arriva alla considerazione che “depersonalizzazione e finzione letteraria hanno molto in comune”.

 

Quindi, racconta: “Dalla lettura ho appreso a costruire la mia relazione con la realtà”, e il passo dalla lettura alla scrittura è breve: “Avevo un progetto, riempire lo spazio del foglio per diminuire la distanza tra me e il mondo”, sostituire le parole alla droga, trovare nella pagina bianca un argine al “torrente di paura che ero diventato”. Perché “scrivere un libro, o leggerlo cercando di abitarlo, è creare un mondo, correggere il proprio. Ho costruito un ponte tra il testo e la realtà e mi ci sono aggrappato. Avevo pensato di creare un personaggio, ma era lui a creare me”. Un po’ diario, un po’ flusso di coscienza, Neri ci porta alla scoperta di queste “emozioni extralarge”. “Venivo già da un’anarchia d’infanzia: di mio insofferente a qualsiasi regola, non ne ho viste da aggirare”; e ancora, si chiede: “un ribelle che non ha niente contro cui rivoltarsi (…), che fa? Si rivolta contro se stesso”. Così ripercorre l’adolescenza e la discesa verso ogni tipo di droga. Si definisce un “narcoromantico”, innamorandosi di una ragazza a sua volta sulla strada dell’autodistruzione, in lotta col peso. Poi la risalita. “Spesso mi perdo ancora, come se i confini della mia identità si mescolassero a ciò che mi accade intorno”. Una cosa non molto diversa da quanto avviene con le immagini che hanno appassionato sua nonna, “lei più di altri aveva compreso i miei problemi e le mie passioni, forse perché ci somigliamo”. Dall’MDMA e la cocaina ai farmaci - “dopo due anni che sbuccio blister di psicofarmaci prima di andare a dormire, non ho smesso di tormentarmi” - fino alla speranza della postilla d’amore per chi verrà.

 

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