(foto LaPresse)

Le fughe di Paola

Valentina Furlanetto

Sono andati nei parchi, al mare, sulla spiaggia. Li hanno sempre fermati. E hanno sempre capito

La romanticizzazione della quarantena è un privilegio di classe, ha scritto qualcuno su un muro in Spagna. Il coronavirus è democratico, il lockdown no. Stare a casa è diverso se abiti in una villa enorme con parco oppure se vivi con altri sei in un appartamento di periferia circondato da cemento e asfalto. Ma è anche un privilegio di un altro tipo.

 

Paola Banovaz e suo figlio lo sanno e hanno deciso di evadere. Evadere dai 200 metri consentiti per “irrompere in parchi e boschi cittadini e poi la grande fuga: la spiaggia. Quasi un’ora di macchina per raggiungere chilometri di litorale deserto, la sabbia con le sole nostre impronte, il sole caldissimo”.

 

La romanticizzazione della quarantena, quella cosa per cui stare in casa significa riscoprire l’acquarello, cantare sul balcone e giocare a Risiko con i figli, non funziona se vivi con un bambino di 11 anni che non parla, ma emette qualche suono. Se non cammina, ma salta e corre. Se la mascherina se la strappa. Se in casa si appende alle tende. Se fa le capriole sul letto e grida. Se sei costretta a tenere tutte le finestre chiuse, sempre, perché lui non si butti giù dal quarto piano. Se sei sola. Se la scuola si è ridotta a un’ora di didattica a distanza al giorno con la maestra di sostegno. Se l’acquaticità che lo calmava non esiste più. Se in casa sbatte i pugni sulle vetrate e gli specchi. Altro che Risiko.

 

Paola il lockdown lo ha fatto, per due settimane. Poi, o impazziva o usciva. E quindi è uscita. Prima ha caricato suo figlio in auto, perché il paesaggio e la musica lo calmano, poi anche la macchina non bastava più e allora ha deciso di entrare illegalmente nel parco cittadino, non c’era nessuno, era bellissimo. “Lo porto – dice Paola – per evitare problemi con i condomini visto che ora mio figlio è più iperattivo che mai. Lo porto anche per evitare che certi comportamenti aggressivi, oppositivi e provocatori, prendano il sopravvento e degenerino”.

 

Poi loro due si sono avventurati in un bosco. “E’ per ritrovare la dignità che porto mio figlio nei parchi chiusi e nei boschi interdetti – spiega Paola – aripiprazolo, acido valproico, metilfenidato sono sostanze che lui assume ormai da anni e che però da sole nulla possono per controllare le sue esuberanze”. Il figlio di Paola assume da anni anche baci e abbracci di congiunti non riconosciuti dallo Stato. Fanno bene questi affetti, sono importanti quanto le medicine. Ma ora sono illegali. Paola e i genitori di altri bambini con problemi simili hanno mandato una lettera alle istituzioni perché permettano a questi bambini di entrare nei parchi legalmente. Ma nessuno ha risposto. La romanticizzazione della quarantena è un privilegio dei sani, toccherà scriverlo da qualche parte, su un muro.

 

Si deve stare a casa, ripetono tutti come un mantra. In tutte queste fughe oltre l'asfalto, verso il verde, verso il mare Paola e suo figlio sono stati sempre intercettati e fermati dalle forze dell’ordine: carabinieri, polizia, polizia municipale, protezione civile. “Con me – racconta Paola – avevo sempre una cartellina con la 104, il certificato della Asl, due certificati del pediatra”. Ma niente che autorizzasse veramente a evadere, perché la disabilità, fisica e mentale, non è stata considerata nei decreti. Come quella volta che Paola viene fermata sulla strada tornando dal mare. Hanno corso sulla sabbia, hanno mangiato un panino guardando le onde, hanno messo i piedi in acqua e ritrovato umanità e dignità. E per giorni suo figlio sarà più calmo e dormirà meglio. Ma ora eccoli lì, dove non dovrebbero essere, come dei Bonnie e Clyde in fuga. Ovviamente sperano di non essere fermati. E invece c’è una pattuglia sulla strada. Lui è agitato, lei, come al solito, tenta di calmarlo e contemporaneamente di prendere le carte da mostrare. Scendono e suo figlio dà anche una manata al poliziotto. E qui non so voi, ma io trattengo il fiato perché ho in mente i video di quegli inseguimenti delle forze dell’ordine al bagnante in fuga in mutande con l’asciugamano in mano.

 

E invece no. “So che non dovrei essere qua, agente”, si scusa Paola. “E dove altro dovrebbe essere signora?”, dice lui gentile. E lei finalmente respira. “Mi hanno sempre fermato nelle mie evasioni – racconta – Mai, e ripeto mai uomini e donne in divisa hanno voluto vedere i documenti. A tutti loro è bastato guardare mio figlio. Quindi sì, ci sono i nuovi sceriffi da balcone, i guardoni che ti filmano e ti fotografano e ti sbattono sulla loro bacheca come un trofeo da esibire. Ma questa è solo una piccola e squallida realtà. Poi ce n’è un’altra dove uomini e donne delle forze dell’ordine agiscono secondo buon senso e per questo sono grata”.

 

E sono grata anch’io e vorrei scriverlo su qualche muro. Riconciliata con le istituzioni, con le forze dell’ordine, con questa quarantena dei ditini alzati, di chi pensa di essere nel giusto, ma della vita degli altri, delle sofferenze degli altri non sa proprio nulla.