La signora Darling

Nadia Terranova

Tutte le bambine crescono, tranne una: a Natale regaliamoci il grande Peter Pan, quello vero

La cosa peggiore che può accadere a un capolavoro che tutti conoscono è nient’altro che essere un capolavoro che tutti conoscono, perché ciò significa che nessuno lo ha letto per davvero. Anzi no, c’è un destino ancora peggiore: non solo essere un capolavoro che tutti conoscono, ma pure un appellativo sulla bocca di tutti (agli aggettivi non va meglio, considerato l’abuso di “kafkiano”, ormai tirato fuori pure per un quarto d’ora di fila alle poste, “bukowskiano” al terzo bicchiere di vino e “felliniano” davanti a una quarta di reggiseno). E’ il caso di Peter Pan, trascinato nella rovina dall’essere arbitrariamente diventato sinonimo di “bamboccione” o di uomo di mezza età che non vuole una moglie o un figlio, e ormai di rado pronunciato se non preceduto da “sindrome di”, che fa subito psicoanalisi da soggiorno.

 

E allora, per questo Natale, regalatevi Peter Pan, quello vero, quello scritto da quel genio di James Matthew Barrie per fare igiene lessicale e per regalarvi una lettura sorprendente. Regalatevelo in una edizione precisa, quella di Lupoguido, che stampa libri meravigliosi che nulla lasciano al caso: la traduzione è di Marta Barone e le illustrazioni di Tatjana Hauptmann. Entrambe, oltre a essere rispettivamente traduttrice e illustratrice, sono autrici, e il libro è fatto con un amore commovente per ogni parola, per ogni dettaglio, e con una precisa visione d’insieme del romanzo. Prendiamo l’incipit: la signora Darling, con quel bacio imprendibile, mai dato, che tiene appeso alla bocca, con la sua mente romantica a forma di scatoline cinesi, ha un’intelligenza sensoriale e onnicomprensiva, così brillante rispetto alla piattezza del marito, tutto schiacciato sul conteggio di scellini e sterline con cui misura anche la possibilità, per un bambino, di venire al mondo. Un vecchio detto diceva: i neonati nascono con il loro pane nella culla. Ecco, il signor Darling questo detto lo ignora e non vuole permettersi il lusso di un figlio se prima non è sicuro di aver messo da parte i soldi per le malattie esantematiche; alla fine però si concede di barare, considerando il morbillo e la rosolia una cosa sola. Una famiglia è un fatto di soldi, sì, ma anche di scommesse. E poi, per risparmiare, si può sempre prendere una cagna al posto della babysitter: quale ragazzino non ha sognato di avere Nana al posto di un’universitaria brufolosa e distratta? Nelle prime pagine, la famiglia Darling è perfetta, quasi perfetta, con quei giorni schiacciati sulla realtà e quelle notti folli, i sogni contaminati dall’invisibile, tutte le isole che non ci sono, una per ogni bambino, una per ogni sogno sognato – isole coi nasi che si somigliano, perché per Barrie tutto ha un profilo umano, anche le terre in mezzo al mare. Restiamo alle prime pagine: ci sarà tempo per Capitan Uncino e per i bambini smarriti, ci sarà tempo per le avventure, intanto a colpire è questa descrizione così esatta della parentela, il luogo più avventuroso che c’è. La parentela è una trappola dove i bambini sono creature che giocano coi fantasmi e i grandi gente indaffarata che non ha tempo per capirli, solo per contenerli. La famiglia è una ragnatela in cui nessuno dice a nessun altro ciò che è davvero importante, è una casa dove si può perdere la propria ombra e poi tornare a riprendersela, un luogo dove le attività oniriche si sfiorano e sconfinano l’una nell’altra. Invece Peter, quando irrompe, è puro nome: un nome bizzarro e ricorrente, immodificabile, che lascia tracce nei sogni, tanto da insospettire la madre di Wendy, Michael e John. Lui una madre non ce l’ha, anzi “non solo non aveva madre, ma non aveva il minimo desiderio di averne una. Le considerava persone molto sopravvalutate”.

 

I classici non sono innocui

Chissà come sarebbe bello lanciare Peter Pan, oggi, nelle chat dei genitori, chissà se qualcuno si offenderebbe. Succede sempre così, coi classici: sono innocui finché non li si legge davvero. Inoltre, Peter ritiene che le femmine siano esseri superiori, ed è per questa ragione che crede a quello che dice Wendy (i baci si chiamano ditali e viceversa) ed è soggiogato da Campanellino; certo, loro due non danno un bello spettacolo litigandoselo, e non è piacevole che volino fra loro piccole cattiverie concernenti il peso (oggi sarebbe body shaming). Nel frattempo, le illustrazioni di Tatjana Hauptmann riescono a far sognare, ridere, commuovere, la sua fantasia è eterea, acquatica, dolcissima e leggiadra. I bambini adoreranno questa edizione, e pure i grandi. Io per esempio me la sono portata dietro in un viaggio in treno e quando l’ho poggiata sul tavolino era così luccicante che avevo paura qualcuno me la rubasse. No, non mi sono vergognata a mostrare che era tutta mia, del resto è noto: tutte le bambine crescono, tranne una.

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