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Il tavolo non esiste più, il divano nemmeno. Il mondo del pavimento

Annalena Benini

Le differenze tra maschi e femmine nelle speranze per il futuro. Nostalgia per i centrini

In questi giorni di vacanza (ho scelto di chiamarli giorni di vacanza per sembrare distensiva e bendisposta verso il nuovo anno, non vorrei fare una cattiva impressione mostrandomi polemica fin da subito), ho osservato meglio alcune cose dei miei figli, dei loro amici, ma soprattutto di me. Ho capito che per loro non esiste più il concetto di tavolo, ed è molto a rischio ormai anche quello di divano. La sedia non è mai stata presa in considerazione, infatti non hanno capito come si usa, e se sono costretti a sedersi per qualche stupido motivo, come ad esempio cenare, cercano di tenere le gambe il più in alto possibile, e le braccia il più possibile a terra, nutrendosi direttamente con rapidi movimenti della testa e della bocca. Io dico, come una vecchia zia con le pattìne: state seduti bene!, e loro si affannano, ci provano, si agitano, ma tutto questo movimento li porta a rovesciare molte bottiglie e a sentire la necessità di correre in bagno, sempre più o meno a testa in giù, oppure strisciando sul pavimento con i gomiti. La questione dei gomiti (giù i gomiti dal tavolo!) è, appunto, un bizzarro ricordo, come i centrini all’uncinetto di mia nonna, nati per proteggere tavoli e tavolini, quando esistevano. I tavoli e i tavolini sono superati, e gomito è una parola troppo complicata, però esiste una grande superficie chiamata, per ora, pavimento-con-peli-di-cane, che serve a tutto: dai compiti delle vacanze alle fette di salame al burro di arachidi. In questo nuovo mondo il pavimento è anche un armadio, una libreria e un cestino della spazzatura, insomma è tutto così semplice e compatto che presto io avrò un’altra crisi isterica. Ma il rischio delle crisi isteriche è la generalizzazione, e l’eccesso di giustizia (le punizioni, le minacce, io che me ne vado di casa, io che trovo un albergo in centro che fa ottimi prezzi mensili con prima colazione) genera sempre ingiustizia. Ci sono enormi differenze, infatti, sia nell’uso del pavimento sia nelle mie reazioni al pavimento, ed è questa la cosa più interessante, che riguarda le aspettative e le speranze degli esseri umani. Se sul pavimento c’è mia figlia, infatti, attorniata da tutti i suoi telefoni, telecomandi, pupazzetti, cavetti, succhi di frutta, polli di gomma per il cane, auricolari, pagine strappate di libri, zaini e felpe, io divento una belva: le chiedo perché, con aria gravissima, le dico che così da quel pavimento non si alzerà mai più, metaforicamente, attacco con la storia dell’impegno, della responsabilità, della paghetta, dell’albergo in cui io sto per andare a vivere, e la mia parte preferita è: adesso vado in camera tua e butto tutto quello che trovo. Non mi piaccio, non mi piaccio per niente, mi guardo da fuori, vecchia e arcigna, mentre dico banalità agitando una scopa.

 

Quando sul pavimento c’è mio figlio, circondato da scarpe spaiate, pezzi di pigiama, spade laser, carte di merendine, un compasso rotto e nessuno zaino perché l’ha dimenticato un’altra volta a scuola, io divento una belva, certo, ma con meno convinzione. Passo quasi direttamente alla parte sull’albergo, che amo molto, e che immagino affacciato sui tetti, la stanza dovrebbe avere un piccolo balcone, e quando lui mi abbraccia per chiedermi scusa e per convincermi a restare, dico: vabbè. Del resto anche mio marito, da quando c’è la raccolta differenziata, quindi da anni, ammonticchia i tappi, i coperchi delle lattine, i sacchetti del caffè e quelli dei biscotti perché dice che ha le idee confuse su dove buttarli e non vuole distruggere il pianeta con un gesto sbagliato. Non li lancia sul pavimento e non ci salta sopra, questo in fondo mi basta, e comunque con lui il discorso sull’albergo non ha mai avuto nessun effetto. Allora che cos’è, mi chiedo tormentandomi, perché sono meno severa con i maschi e mi lascio abbindolare da loro? Forse tutte le mie speranze sono rivolte alle ragazze? Da loro mi aspetto di più? Anche il cane, che è maschio, continua a salire sul divano appena mi volto. Anche a lui ho detto dell’albergo, ma ha scodinzolato. Crede di venire con me, ma gliel’ho detto: te lo scordi. Se fosse una femmina, allora sì.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.