Torno a casa la sera e qualcosa non va. Nessuno scodinzola per me

Annalena Benini

La nostalgia che non avrei mai creduto di provare e che mi costringe a riprendere il treno

Torno a casa verso sera e c’è qualcosa che non torna. Non è il disordine, quello va bene, lo conosco, è anche mio. Non è il divano tutto deformato dai calci e dalle passeggiate (i miei figli spesso guardano la tivù camminandoci sopra avanti e indietro, dicono che così si concentrano meglio). Non sono i fogli per terra e le carte di merendine che nessuno raccoglie, perché non sono di nessuno, forse sono entrati dalla finestra, e quindi tutti ci fanno lo slalom intorno. Non è la necessità urgente di far fronte a: equazioni con la x e le parentesi, non con il metodo della preistoria che sarebbe il mio ma con il metodo di oggi che io non conosco; maglietta preferita con il gorilla macchiata del sangue di un amico (vi siete picchiati? no mamma, si è solo pulito sulla mia maglietta); lite con il compagno di classe che ha fatto la spia all’insegnante per cercare di mettere nei guai anche gli altri (e qui per me è difficile dire cose concilianti perché ho fondato una vita intera forse su unico principio: non fare mai la spia); hamburger bruciato fuori e crudo dentro; richieste di denaro; sparizione del libro di geometria; altro sangue questa volta causato da una rissa tra fratelli per il libro di geometria. C’è qualcos’altro, qualcosa che non riesco a mettere a fuoco, ma devo pulire il sangue e buttare l’hamburger e cuocerne altri, devo imparare le equazioni nel modo della contemporaneità, devo moderare la mia indignazione per l’ignobile spiata, devo preparare le valigie perché domani andiamo a Budapest, con la condizione che “non entrerò in nessuna chiesa e in nessun museo, sennò resto a Roma”, ha detto mio figlio, ma confido di farlo entrare in questi posti a sua insaputa.

     

Solo alla fine di tutto, quando mi accascio sul divano deforme, capisco che cos’è: una mancanza. Nessuno che venga a spingermi la gamba con il muso perché vuole uscire o vuole un po’ di quell’hamburger crudo e bruciato, nessuno che non farebbe mai la spia, mai e poi mai.

 

Mi manca Fix, il nostro cane a forma di hot dog a pois, e tutta la liberazione che pensavo avrei provato per qualche giorno di assenza di doveri e di schifo da raccogliere per strada con i sacchetti che non si aprono mai è evaporata in un giorno. Fix è ospite a casa dei miei genitori per due settimane (l’ho portato io in treno, l’ho quasi lanciato dal finestrino, con guinzaglio, e ho proseguito il mio viaggio), e dalle foto mi rendo contro che ha conquistato ogni divano, ogni poltrona, ogni angolo abbastanza comodo per lui, fa la vita che ha sempre sognato, cioè uscire sempre , abbaiare a tutti, tornare a casa, addormentarsi di schianto, russare e dopo venti minuti uscire di nuovo, dare strattoni al guinzaglio, mangiare, di nuovo dormire, cambiare spesso divano. L’unica cosa che gli manca probabilmente è la spazzatura, in cui Roma non teme rivali e che invece a Ferrara per le strade scarseggia, ma a me manca lui tantissimo. Ho capito che amo il modo in cui abbaia al postino, la mattina, che in effetti mi porta solo multe e raccomandate minacciose che io non oso aprire, e Fix cerca quindi di tenerlo lontano. Amo che mi fissi sconsolato mentre lavoro, e che mi corra incontro appena mi alzo dalla sedia con infinita speranza.

     

Fix, sto solo per fare una doccia, non stiamo uscendo, mi preparo un altro caffè, non stiamo uscendo, sto cercando un libro scomparso, non stiamo uscendo – gli dico di solito, un po’ dispiaciuta un po’ trionfante, perché è bene che anche un cane si abitui all’amarezza, quando desideri tantissimo fare una cosa e non puoi farla. Ma anche se è deluso lui non smette di amarmi, anche se l’ho deluso non mi rimprovera di nulla, non recrimina, non è sarcastico, ma si accovaccia vicino alla porta del bagno e aspetta, aspetterebbe anche tutta la vita, e dopo tutta la vita avrebbe ancora quello sguardo rotondo e comprensivo: non so se è lo sguardo del canile, di chi ha imparato che ogni carezza è una fortuna, o è il suo sguardo d’amore per me, solo per me, sempre per me. Lo so che non sei perfetta, che fai casino, che non apri le raccomandate, ma io sarò sempre dalla tua parte, mi dice con gli occhi. Non c’è nessuno felice quanto lui quando torno a casa, felice per niente, felice di dimenare la coda mozzata e di appoggiarmi una zampa sulla coscia. Così adesso, in mezzo a tutto questo casino, mi tocca riprendere il treno, arrivare fin là, allungare le braccia dal finestrino e farmi rilanciare Fix indietro.

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.