La fermata Alexandre Dumas del metro di Parigi (foto sirkarm via Flickr)

La nemesi del nome

Lisa Ginzburg

Alexandre Dumas, uno e due: la rivalsa sulle origini azzerate e l’invidia per il successo del figlio

Alexandre Dumas, sia padre che figlio, condividono, oltre al nome, un analogo conflitto interiore. Conflitto con la figura paterna, appunto. “Du-mas”, “della masseria”: il piccolo Alexandre (chiamiamolo Alexandre-uno) ha inscritta nella propria genealogia la macchia di un divario sociale – il cognome racconta un’unione mista perché avvenuta in un latifondo, contesto già di per sé ibrido.

 

Filiazione maschile segnata da un’impronta violenta, “azzerante”, quella dei Dumas. Il nonno, dalla Repubblica Dominicana dove s’era auto-confinato, per trovare i soldi del viaggio di rientro in Francia vende i propri figli come schiavi. Tutti i figli, tranne uno: il padre del futuro scrittore. Mulatto di nobili ascendenze (marchese, generale durante la Rivoluzione, poi vicino a Napoleone), figlio a sua volta di una creola di Haiti (“la femme du mas”, “donna della masseria” – un eufemismo per dire che la nonna di Alexandre-uno era una schiava).

 

Sebbene muoia quando Alexandre-uno è ancora un bambino, i suoi rapporti interiori con quel padre nobile, meticcio, valoroso, sono e resteranno difficili. Al decoro di nobili lignaggi, Alexandre-uno preferisce il più modesto, ma meno controverso, ramo materno. Trascendere il sangue blu, e volgersi alla vita “vera”: la stessa che ispirerà alla sua fervidissima immaginazione centinaia di titoli, di intrecci, di personaggi i più chiaroscurati, di avventure le più mirabolanti (“l’uomo che ha fatto vivere, agire, parlare, morire, più eroi, più romanzi e più storie di Dio stesso!”, per dirla con Victor Hugo).

 

Non c’è verso: i conti con i propri “nodi”, uno scrittore prima o poi li farà, e la controversa figura paterna per Alexandre-uno tornerà, trasfigurata, nel personaggio del Conte di Montecristo. La vita “vera” nel frattempo fa il suo corso. Dalla campagna sbarcato a Parigi, il giovane Alexandre-uno al latifondo degli avi sostituisce il pianerottolo di casa. A ventidue anni si accoppia con la dirimpettaia (una sarta, Catherine Labay) e insieme concepiscono un bambino, Alexandre. “Alexandre Dumas figlio”: appellativo quello anche che segna un destino, permette un’emancipazione esile, con scarti minimi rispetto all’indistinzione cui condanna l’omonimia.

 

Il tratto “azzerante” della filiazione maschile dei Dumas perdura. Sino ai sei anni di vita, Alexandre-due non trova legittimazione di se stesso: è “figlio naturale di padre e madre sconosciuti”. Poi, dopo una battaglia in tribunale tra i genitori, va a vivere col padre. Convivenza che presto si fa specchio di un fronteggiamento poco simbiotico, e invece molto antagonistico. Tante, nitide, le differenze che separano padre e figlio. Alexandre-uno è più prolifico (vera e propria fabbrica letteraria, la sua: sforna libri e libri, a ritmi forsennati). Fisicamente possente, è irruento, sarcastico, sprezzante dei codici borghesi, molto libertino. L’altro, Alexandre-due, produttivo lui pure, ma riservato, composto, “corretto” (quando il padre si sposa con l’attrice Ida Ferrier, inaugurando un vincolo anomalo e molto libero, il figlio si scandalizza, attacca il genitore).

 

Entrambi, in verità, padre e figlio, mossi da una medesima forza propulsiva. Uno stesso motore carbura lo spasmodico lavorare dei due, uguale fil rouge sta intrecciato all’ordito delle loro bio-bibliografie. E’ il livore; la rivalsa. Esistenze e carriere pensate come nemesi, le loro. Rivalsa etnico-sociale per Alexandre-uno: la sua identità creola, meticcia, se pure “risolta” nelle trasposizioni letterarie, gli accende dentro una continua smania di riconoscimento, una fregola che sfianca e spesso frustra lui per primo. Rivalsa esistenziale per Alexandre-due. Attraverso la scrittura, e la fama, lavare l’offesa della sua infanzia da figlio illegittimo – di questo si tratta per lui. Trentacinquenne, dieci anni dopo lo strepitoso successo di pubblico e critica del suo La signora delle camelie, scrive due pièces di teatro dove il trauma infantile si può leggere in filigrana, e senza il minimo dubbio. Si intitolano Le Fils naturel e Un père prodigue. La prima, in particolare, è tutta dedicata all’“infelice destino” di donne sole e figli non riconosciuti.

 

Vecchio, lontano, Alexandre-uno dei successi di Alexandre-due è invidioso. Gli chiede aiuto, soldi. Nel mentre l’altro, non solo il padre in qualche misura lo perdona, ma lo copre di lodi. Che nella lunga durata il riconoscimento del mondo arrivi a quello che più ha preso in carico la sua propria leggenda privata? (fine)

 

Nei numeri precedenti sono uscite le Leggende private di Anna e Sigmund Freud, di Gregory Bateson e Margaret Mead (e figlia), di Martin e Kingsley Amis e di Erika, Klaus e Thomas Mann

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