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Scappiamo?

I divieti, le galline, e una sconfinata tenerezza. Formazione comica e commovente di una mennonita

Miriam Toews

Uno dei ricordi più vividi che ho di mia madre, Trudie Nickel, c’entra con la decapitazione dei polli

Abito con mio padre, Ray Nickel, in quella casa di mattoni a un piano sulla statale dodici. Persiane azzurre, porta marrone, una finestra rotta. Niente di che. I mobili continuano a sparire, però. È l’unica cosa interessante.

 

Manca metà della famiglia, la metà più bella. Io e Ray ci alziamo la mattina e facciamo svariate cose finché è ora di andare a dormire. Tutte le sacrosante sere verso le dieci Ray mi comunica che lui va a far riposare le ossa. Prima di entrare in camera da letto si ferma nell’ingresso e piazza dei foglietti sopra le sue scarpe per ricordarsi quello che farò il giorno dopo. Ci piace guardare insieme l’aurora boreale. Gli ho riferito, parola per parola, quello che ci ha spiegato il professor Quiring in classe. Su come funziona il fenomeno. Lui ha trovato la spiegazione abbastanza interessante.

 

Devo finire i compiti. Una parola cruciale, finire. A me i finali vengono male. Quiring mi ha detto che in genere i temi e i racconti arrivano fisiologicamente a una loro fine inevitabile, fuori dal controllo di chi scrive. Dice che quando arriva la fine, ce ne accorgiamo per forza. non so. A me sembra che ce ne siano tanti, di possibili finali. Sarà un disastro, me lo sento. Ma poi sai cosa me ne fregherà quando sarò lì a tirar colli e a sbattere cadaverini pennuti sul nastro trasportatore in un macello buio di cemento grigio alla periferia di un paese fuori dal mondo. La maggioranza dei ragazzi di qui finirà a lavorare all’Allegra Fattoria, dove i polli autoctoni rendono l’anima a Dio. Io ho sedici anni, giovane per essere sul punto di diplomarmi, e tra pochi mesi prenderò il mio posto alla catena di montaggio della morte.

 

Uno dei ricordi più vividi che ho di mia madre, Trudie Nickel, c’entra con la decapitazione dei polli. Dunque, io e lei eravamo in un’aia e guardavamo Carson e suo padre che decapitavano i polli. Carson se lo vedete lo riconoscete subito. Carson Enns. Petomane ascellare dell’ultimo banco. Presidente del Club dei Pervertiti. Dice che ha un figlio a Pansy, un paese vicino. E’ un po’ disturbato, ma c’è poco da stupirsi se si pensa che da piccolo era il Killer delle Nevi. Aveva otto anni e Trudie più o meno trentacinque. Lei aveva un cappotto di lana rossa, i Moon boots e le punte dei capelli ghiacciate perché quella mattina non era riuscita a trovare il phon. Guarda, ha detto, e si è presa una ciocca di capelli e l’ha piegata come una cannuccia. Mi aveva dato la sua sciarpa a motivi cachemire da avvolgermi intorno alle orecchie. Non so esattamente cosa stavamo facendo da Carson nel bel mezzo di quel carnaio, non era cominciata così, sono sicura, ma evidentemente i carnai ti possono piombare addosso all’improvviso. Carson aveva la mia età e ogni volta che alzava l’accetta gridava qualcosa al pollo. Voleva farlo scappare.

 

Scappa, scemo d’un pollo! Carson, diceva suo padre. Solo il nome e una leggera contrazione anale della testa. Ce la metteva tutta per fare di suo figlio un assassino. Erano circa le quattro e mezzo del pomeriggio di un giorno d’inverno, la luce stava sfumando nel blu e nevicava orizzontale ed eravamo tutti in piedi sotto un enorme faro giallo. Be’, veramente qualcuno di noi stava morendo. E Carson stava facendo un casino orrendo col pollo, cercava di segargli il collo senza riuscirci, sussurrandogli direttive su come scappare. Scappa, imbecille. Non obbligarmi. Povero bambino. Nel frattempo si era tirato giù la lampo della tuta e la parte di sopra gli ciondolava intorno alla vita come una gonna, intralciandolo, e suo padre l’ha visto ed è corso a strappargli dai guantini il pollo semimutilato, l’ha sbatacchiato su quella specie di altare di legno che usava lui e ha fatto calare l’accetta con incredibile velocità e precisione, e in meno di un secondo aveva schizzato sulla neve un dipinto informale e io ero ipnotizzata dal sangue che sprizzava così in fretta e senza rumore e mia madre è rimasta senza fiato e ha detto ma quello è un Jackson Pollock, Nomi, guarda. Oh, è stupendo. Oh, ha detto, celestiale. Lo diceva spesso. E io e Carson stavamo lì a fissare il sangue sulla neve e mia madre ha detto: Ma pensa. Chi l’avrebbe mai detto che fosse così semplice.

 

Non so se volesse dire che era così semplice creare un’opera d’arte o ammazzare un pollo o morire. A me sembrano tutte cose molto difficili. Forse se lei fosse qui e le chiedessi che cosa aveva voluto dire, lei risponderebbe ma cosa ti salta in testa e io direi niente e finirebbe lì.

 

È solo perché lei non c’è più che mi tornano sempre in mente queste piccole cose del passato. A cena, dopo il massacro a casa di Carson, la mamma ci ha chiesto come ci saremmo sentiti se per qualche ragione fossimo entrati tutti in coma rimanendoci per tutti i mesi estivi e ci fossimo svegliati a metà novembre: ci saremmo arrabbiati per aver perso il caldo e la bellezza dell’estate o rallegrati perché eravamo ancora vivi? Ray, che detesta dover scegliere, le ha chiesto se non ci si poteva sentire un po’ in un modo e un po’ nell’altro, e lei ha detto no, non credo proprio.

  

Miriam Toews, Un complicato atto d'amore”, (Marcos y Marcos)

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