Ada Lucia De Cesaris

Ada Lucia De Cesaris: pagelle pepate di un ex vicesindaco

Paola Bulbarelli

Bene Sala, ma Milano ringrazi Renzi. Arexpo, periferie, donne. E il (non) modello Pisapia

Ada Lucia. I nomi della nonna e della bisnonna. Quasi ci fosse qualcosa di romantico nel chiamarla con tutti e due ed evocare una storia di famiglia. Eppure Ada Lucia De Cesaris è più nota come la lady di ferro di Milano o il braccio armato di Giuliano, quel Pisapia che l’aveva voluta vicesindaco e che, in tanti, avevano pensato fosse di fatto la prima cittadina della giunta arancione. Perché senza dubbio Ada Lucia è “una con le palle” (variante; una “rompiballe”). Una donna al comando, insomma. “Di donne in ruoli apicali ce ne sono, Milano è una città avanti in questo, è un fatto oggettivo, le chance per le donne sono quasi alla pari”. Lei adesso è tornata al suo vecchio lavoro, avvocatessa amministrativista, “mi occupo dei temi di cui mi occupavo quando ero in Comune, che riguardano l’urbanistica, l’ambiente, gli appalti”.

 

E poi è nel consiglio di amministrazione di Arexpo, un incarico importante che viene dal governo. “Un modo per poter contribuire alla costruzione di Milano, è uno dei progetti più importanti e strategici per la città quello di dare a quel sito un futuro di innovazione, di ricerca, tecnologie, lavoro e anche qualità. A settembre  ci sarà l’aggiudicazione dell’advisor e nel frattempo stiamo lavorando per  avviare i lavori di Human Technopole e del nuovo ospedale Galeazzi”. Prima del brusco addio alla politica, si diceva che il sindaco nemmeno tanto occulto fosse lei. “Non esagererei, senz’altro ho lavorato molto, ci ho messo testa ma anche molto cuore e impegno. E’ stata un’esperienza straordinaria, arricchente prima di tutto da un punto di vista umano, per il rapporto stretto con la città, ma anche professionale, ho tanto studiato per alcune cose, combattuto, viverle da dentro, solo così si può capire veramente”. Ma poi ha mollato tutto, improvvisamente. Dimissioni da vicesindaco e da assessore all’Urbanistica. “Non è stato un fulmine a ciel sereno, è stata una decisione maturata e molto dolorosa, legata alla necessità di essere coerente con  gli obiettivi che c’eravamo dati e che secondo me dovevano essere raggiunti. Non mi piace recriminare, ma era finita la condivisione sugli obiettivi principali del governare.

 

I momenti finali hanno dimostrato che era stata imboccata una strada diversa  da quella sino ad allora concordata. Bisognava essere capaci di andare al di là di alcuni ideologismi nell’interesse di Milano, che è quel che ci ha consentito di fare Expo e di portare a termine interventi importanti come la darsena”. Sala è stato l’uomo di Expo e De Cesaris lo ha sempre sostenuto “moltissimo”. “Ci ha messo tanto coraggio e buona volontà. Va detto con un grande sostegno del governo”. Però Sala si è allontanato da Renzi. “In politica nessuno molla nessuno. Ognuno ha la sua storia e credo che non si possa negare il passato, né  i progetti comuni, sono convinta che Sala stia facendo bene il sindaco e che debba continuare così. Allo stesso tempo però, tutti, compreso Sala, ci dobbiamo ricordare che se oggi Milano va meglio, come sta andando meglio tutto il paese e Milano in modo particolare, sicuramente lo dobbiamo anche a  quanto fatto dal governo Renzi. Le maglie della rete tra Renzi e Sala si sono allentate, ma spero che ci possano essere di nuovo dei momenti di congiunzione. Uno fa il sindaco, l’altro si occupa della politica nazionale, l’importante è che  facciano bene  nell’interesse comune”.

 

La giunta di Sala, però, potrebbe trovarsi di fronte a un rimpasto per le legittime ambizioni politiche nazionali o regionali di alcuni assessori. “Penso che quando si inizia un lavoro bisogna portarlo a termine, poi gli assestamenti sono nelle cose. Questa amministrazione milanese va bene, c’è molto da fare e prima di pensare a percorrere altre strade credo che Milano debba essere messa al centro,  lavorare per Milano deve essere sempre motivo d’orgoglio”. Un orgoglio che trova la sua massima espressione nella grande rivoluzione immobiliare milanese, un vero e proprio cambiamento epocale della città. “Milano sta vivendo un momento di grande positività e di grande voglia di fare. Sicuramente ci sono stati errori nel passato, perché il tema dell’invenduto o addirittura di interventi abbandonati o non conclusi è ancora un tema serio che va gestito. Però si è attivata una volontà di collaborazione, di interlocuzione tra i privati e l’amministrazione che può fare molto bene, mettendo in campo  anche pratiche  più innovative e meno conservative. Alcune esperienze del passato fanno capire che Milano può osare, ma consentono anche di comprendere cosa non bisogna fare. E’ molto importante che  questo percorso avviato venga continuato, ricordando che non ci può essere sviluppo urbano senza cura della città pubblica.  E’ necessario un disegno urbano complessivo: la parte pubblica e la parte privata devono svilupparsi insieme, perché solo così la città può averne un vantaggio vero. Oggi ad esempio le esigenze dell’abitare sono molto diverse. Importante è saper rispondere  alle fasce più deboli mettendo in campo risorse, progettualità e volontà innovative in collaborazione con il privato. Bisogna pensare  anche alle giovani coppie, agli studenti, ai nuovi lavoratori che vengono in città perchè Milano, in questo monento, ha grande attrattività  e deve essere in grado di garantire una buona qualità di vita, iniziando dalla casa”.

 

Da una parte lo sviluppo della Milano dei grattacieli e dall’altra il grave problema delle periferie. “Questa amministrazione mi sembra voglia lavorarci davvero. E’ un problema molto serio che richiede interventi forti, serve il coraggio di buttare giù e ricostruire, la situazione dell’abitare sociale è molto critica.  Serve un vero e proprio piano straordinario, investendo le migliori risorse sia da un punto di vista economico che professionale”. Ex Scali ferroviari. “Hanno finalmente approvato l’accordo, un’ulteriore occasione che permetterà di dare risposte anche a molte esigenze: verde, servizi, abitare per diverse fasce sociali, comunque rappresenterà un ulteriore motore economico per attivare risorse  da mettere poi nelle periferie”. 

 

Primarie di coalizione, sono davvero utili per la causa? “Penso che quando si ha un candidato forte, capace di tenere tutti insieme come sta facendo Giorgio Gori anche nella sua città, bisognerebbe riflettere e approfondire, cercando di mettere insieme i temi comuni e avendo come obiettivo la necessità di vincere e di arrivare alla meta tutti insieme e voglio sperare che questo sia possibile. Poi, se devono essere primarie, che si facciano. Ma che sia ben chiaro che Gori è un ottimo candidato, capace di  contemperare i diversi sentire e di unire tutte le nostre forze e progettualità per andare a vincere. La politica è forte anche quando è capace di esprimere le persone giuste  per rappresentarla e in questo caso noi la persona ce l’abbiamo e daremmo una dimostrazione anche ai territori di una  proposta  politica coesa e credibile, in grado  di governare”. Certo che – secondo molti della sinistra – Gori è inciampato sul “modello Formigoni”. “Gori ha detto una cosa  vera. Formigoni cosa ha rappresentato per la regione Lombardia? All’inizio sicuramente un modello,  che si può criticare, ma che ha ottenuto consenso e sostegno elettorale.  Giustamente quindi Gori ha detto che  il centrosinistra, se vuole  vincere, deve essere capace di esprimere un modello, un modello diverso ma altrettanto forte e convincente, altrimenti i cittadini e i territori non daranno il consenso necessario”. Secondo lei Maroni ha proposto un suo modello? “A me non pare che in questi ultimi anni dalla Regione Lombardia arrivi un nuovo modello, ho come la sensazione che si sia cercato e si cerchi di tenere insieme i cocci di un passato che ormai fa fatica a esprimere un progetto di governo. Le cose sono molto cambiate,  la gestione Maroni  ha avuto come obiettivo soprattutto la necessità di dimostrare la tenuta di una coalizione di centrodestra, ma oggi  deve fare i conti  con la consapevolezza che la Lega, più che Maroni, è Salvini. Non sarà una passeggiata, ma  c’è sicuramente lo spazio per il centrosinistra per proporre un  nuovo modello di governo per la Lombardia. Un modello che risponda alle esigenze di sviluppo, di innovazione, di cultura, di impresa, di lavoro, di salute, di casa e di cura dei territori che vengono da tante città lombarde e che vanno ascoltate e rappresentate con proposte concrete e efficaci”. 

 

Se Gori vincesse farebbe parte del suo gruppo di lavoro? “Sarei già abbastanza felice della sua vittoria e comunque continuerò sempre a dare una mano indipendentemente dal ruolo formale. Poi vedremo. 

 

Ha parlato di modelli. E del modello Pisapia, cosa ne pensa? “Non ho ancora capito qual è la sua proposta politica. Sto aspettando di conoscere le proposte sui temi veri del paese, leggo sui giornali che si sta ancora parlando di nomi. Mi sembra positivo che continui a ripetere che non ci può essere centrosinistra senza Pd, di questo ne sono profondamente convinta anche io. Ma, ripeto, voglio capire nel merito,  per ora osservo e aspetto le proposte”. 

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