Foto di Mitchell Hollander su Unsplash

granmilano

L'occhio di Elio Ciol. La mostra al Museo diocesano di Milano

Luca Fiore

Il Friuli, il neorealismo, il Vajont, Pasolini e i giessini della Bassa. Immagini e storie del grande fotografo italiano che ha portato il suo obiettivo in giro per l’Italia e per il mondo

"Elio Ciol. Sguardi e silenzi”, si intitola così la mostra in corso al Museo diocesano di Milano, dedicata all’opera di un grande fotografo italiano, nato 96 anni fa a Casarsa della Delizia (Pordenone). Un percorso nel solco di quelli a cui il museo dedicato al cardinal Martini ci ha abituati negli ultimi anni, nei quali grandi nomi della fotografia documentaria del Novecento hanno attirato il grande pubblico negli spazi attigui a quelli che conservano grandi tesori del passato. Ora è la volta di un fotografo che nasce nella bottega di famiglia in un villaggio del Friuli e che, senza mai rompere il legame con la sua terra, ha portato il suo obiettivo in giro per l’Italia e per il mondo. La mostra del Diocesano, in corso fino al 15 febbraio, si concentra soprattutto sugli esordi legati al linguaggio del Neorealismo. Una sorta di koinè espressiva che segna i decenni a cavallo della Seconda guerra mondiale e che in Ciol si declina nelle situazioni dell’Italia rurale degli anni Cinquanta e Sessanta.

La mostra esordisce con un’infilata di bambini, i cui sguardi non hanno nulla da invidiare a quelli che ci ha tramandato il genio di Robert Doisneau. Poi le biciclette, i muli, i capotti e le magliette a strisce orizzontali di giovani e vecchi di un’Italia che corrisponde a quella del mito della volontà di riscossa degli anni del boom, con la testa nel futuro luminoso e i piedi nella polvere della realtà contadina. In mezzo le macerie del Vajont, dove Ciol fotografa le distese di croci, i fazzoletti al naso di chi piange e le valige di chi non ha più una casa. Casarsa è un paese piccolo e Ciol, nel 1943, aveva conosciuto il Pasolini dell’Academiuta di Lenga Furlana di Versutta, che lo aveva chiamato per scattare la foto di gruppo che ne tramanda la nascita (riprodotta nel catalogo Cimorelli). Ritroverà PPP vent’anni dopo, nel 1963, ma ad Assisi, quando il regista presenta in anteprima il suo “Vangelo Secondo Matteo” alla Pro Civitate Christiana. E’ un racconto che il fotografo ripete ad ogni intervista: “Che ci fai qui?”, chiede il poeta. E lui risponde: “Che ci fai tu qui?”. La Pro Civitate Christiana di don Giovanni Rossi era diventata una seconda casa per Ciol, mandato lì dal parrocco del paese perché frequentasse un luogo dove l’arte dialogava con la fede. In quell’occasione Ciol realizza uno dei ritratti più belli di Pasolini e lo ritrae accanto a una gigantografia del crocifisso di Masaccio di Capodimonte (lo stesso arrivato “in visita” al Diocesano nel 2023). Ciol accoglierà di nuovo il poeta a Casarsa negli ultimi due ritorni al paese: nel 1969, quando con Maria Callas visitò le zie e nel 1975, il giorno del funerale. In una delle foto al cimitero vediamo padre David Maria Turoldo, con il quale Ciol aveva collaborato come fotografo di scena sul set del film “Gli ultimi” (1963).

Pasolini e Turoldo, un artista e un prete. Una coppia molto diversa da quella William Congdon e don Luigi Giussani, anche loro incrociati dal fotografo friulano. Con il primo, americano nomade, stransfuga dell’Action painting che trovò il suo approdo al monastero della Cascinazza a Buccinasco, si incontrarono ad Assisi alla fine degli anni Cinquanta. Ciol lo ritrae negli anni Ottanta mentre stende con la spatola i colori dei suoi quadri inquieti e profondi (una sua opera è parte della collezione del Diocesano). Giussani, invece, lo incontra nel suo breve soggiorno milanese negli anni Sessanta e segue i ragazzi di Gioventù Studentesca mentre vanno nella Bassa per la caritativa. Sua la fotografia del “raggio alla torre” a Varigotti, tra le immagini simbolo della storia di Cl.

La mostra si chiude con le immagini di paesaggio, forse le più significative dal punto vista artistico, alcune delle quali conservate nelle collezioni del Metropolitan Museum di New York e al Victoria and Albert Museum di Londra. In esse Ciol trova un equilibrio tra dimensione espressiva e meditativa, facendo leva sugli elementi naturali (luce, nebbia, neve). È qui che si vede maggiormente la perizia anche tecnica di un autore tanto prolifico quanto poco conosciuto.