Gran milano

Sala vuole la pax olimpica, poi scatterà la resa dei conti sugli opposti modelli della sinistra. Compagni e coltelli

Fabio Massa

Il Pd pressato dalla sinistra radicale chiede discontinuità e un rimpasto. Il sindaco rifiuta l’abiura sulle sue politiche e teme che le primarie diventino il terreno di battaglia che spaccherà il centrosinistra verso il 2027

Fino alle Olimpiadi Beppe Sala ha chiesto la pax olimpica. Non si parla di elezioni. Non si parla di quello che viene subito dopo, cioè l’accelerazione decisiva per arrivare al 2027, tornata elettorale gigantesca e importantissima. Si vota a Milano, si vota soprattutto alle politiche e si mettono le basi per il voto l’anno successivo, in Regione Lombardia, secondo la dottrina post-Veneto per cui chi prenderà un voto in più nell’ultima elezione avrà il diritto di esprimere il candidato governatore del centrodestra.

  

Ma dopo la pax, la parola d’ordine sarà “legacy”. Sulle Olimpiadi puntano sia Attilio Fontana che Sala. Il tema della legacy è però particolarmente scottante per quest’ultimo. Per la vicenda dell’urbanistica, ovvio: politica molto più che giudiziaria. Ed è una vicenda che ha creato una ferita profondissima. Il Pd, sulla pressione della sinistra radicale con la quale a livello nazionale cerca il campo largo in vista del 2027, già adesso sta premendo per avere la “discontinuità”, usando lo strumento del rimpasto. Chiede a Sala di sacrificare un suo assessore (o assessora) per aprire a un esponente della sinistra-sinistra. Invece Sala non ha affatto in mente un rimpasto, ma un cambio puntuale: c’è una poltrona assessorile libera, quella di Tancredi. Chi la vuole, stante il fatto che l’Urbanistica resta ad Anna Scavuzzo? Il problema è politico: non fare un rimpasto vuol dire non ammettere l’errore. Si torna al concetto di legacy. Perché Beppe Sala ha fatto abbastanza anni in politica da sapere che cosa succederà, subito dopo le Olimpiadi. La sinistra radicale comincerà ad attaccare a testa bassa, pretendendo dal Pd come pegno per il campo largo una discontinuità che si rifletta in una sconfessione delle politiche di Sala. Chiamarla “abiura” non sarebbe scorretto. Il primo cittadino però non ci sta e non starà a guardare: di passare come il cattivo della storia, l’uomo che ha distrutto Milano e non quello che l’ha condotta al suo apogeo di “place to be”, prima da commissario Expo e poi da sindaco, è un ruolo che di certo non vuole interpretare. La domanda che dunque si fanno, nella segreteria, riguarda le primarie perché è strettamente legata al ruolo di Sala. Le primarie (ma questo è un tema di tattica più che di strategia) pongono sicuramente una questione relativa a chi le vincerebbe: probabilmente: Pierfrancesco Majorino. Ma soprattutto pongono un tema strategico: le primarie possono essere un modo per comporre le fratture tra la sinistra di governo e la sinistra radicale? Basterebbero a lenire le ferite, lasciando comunque cicatrici, tra l’area barbacettista e quella che comanda a Palazzo Marino da dieci anni e forse più? E se pure bastassero, i toni delle primarie non desterebbero inquietudine nel primo cittadino, che sarebbe sicuramente bersagliato da polemiche continue sul proprio operato? Con ovvio imbarazzo del Pd, alle prese con la mission impossible di difendere quello che ha proposto e votato per anni e al contempo di proporre una nuova via alternativa. E’ per questo che le primarie sono uno snodo così importante, non può essere archiviato con un semplice: decideranno a Roma. Anche perché, secondo i più avveduti, a Roma potrebbero decidere di non decidere. E’ molto probabile che Elly Schlein si tenga il più lontano possibile da un luogo nel quale lo scontro politico tra sinistra radicale e di governo è arrivato alle aule di Tribunale. E che potrebbe contagiare con la propria virulenza anche la piazza nazionale, che è quella che davvero interessa a Schlein (che un tempo Sala avrebbe voluto assessore all’Ambiente).