Foto LaPresse
GranMilano
Le primarie, il cubo di Rubik del Pd che già snerva il partito
Una bella fetta del partito è orientata a decidere il post Sala con i gazebo, ma ci sono diversi punti da risolvere prima che possa accadere. Ecco quali
C’è voglia di primarie nel Pd (che pure alle scorse regionali le aveva scartate). Le ha invocate la corrente riformista già al momento della sua nascita, venerdì scorso al Parenti, le sostiene con forza Majorino auspicandole “aperte e senza confini”. Una bella fetta del partito è orientata a decidere il post Sala con i gazebo, ma ci sono diversi punti da risolvere prima che possa accadere.
In primo luogo all’interno del Pd il tema non suscita reazioni unanimi: al favore del segretario metropolitano Alessandro Cappelli si contrappone la freddezza del suo omologo regionale Silvia Roggiani, il primo è schierato con Schlein, la seconda con Bonaccini. Il secondo riguarda le perplessità che la classe dirigente del Pd genera in città, nonostante i brillanti risultati elettorali degli ultimi 14 anni: è all'altezza di organizzare e poi gestire un confronto che sarà inevitabilmente politico, quindi con strascichi pesanti in particolare tra gli sconfitti? Terzo il ruolo di Beppe Sala, che sarà quello di kingmaker: venerdì scorso si è presentato al Parenti dimostrando la sua attenzione per le evoluzioni nel partito, la sua influenza sulle primarie si farà sentire a sostegno del candidato più in linea con il percorso politico che intraprenderà una volta lasciato Palazzo Marino.
Sotto il profilo dei nomi il panorama sembra più chiaro, Majorino è pronto alla sfida e sarebbe il candidato da battere. Figura di prestigio della sinistra milanese, collettore di grandi consensi, in questo momento di lacerazioni è l’unico in grado di aggregare i segmenti dentro il Pd e alla sua sinistra delusi dell’amministrazione Sala che altrimenti potrebbero presentarsi con proprie liste alternative. Avrebbe l’appoggio di buona parte del Pd e, soprattutto, di Elly Schlein. Altro nome da tempo sotto i riflettori è Mario Calabresi, che sta battendo associazioni e parrocchie con la copertura della presentazione di libri o della partecipazione a eventi culturali. Sarebbe il candidato dei neonati riformisti e dei centristi come Italia Viva e Azione, il problema è che questi ultimi due vedono le primarie con il fumo negli occhi perché temono una vittoria di Majorino che sbilancerebbe la coalizione a sinistra rendendola perdente: lo stesso ragionamento che nel 2010 venne opposto a Pisapia per farlo desistere dal candidarsi alle primarie (ironia della sorte fu proprio Majorino a esporglielo, come ha raccontato l’ex sindaco in un suo libro). Per i centristi anche l’ipotesi di una vittoria sarebbe poco accettabile perché il loro spazio politico in una giunta Majorino sarebbe ridotto: da qui la proposta di individuare una figura condivisa. Va detto che per Azione neppure questo scenario potrebbe bastare, se passa la nuova legge elettorale che stabilisce il quorum del 3 per cento, Calenda potrebbe decidere di correre da solo alle politiche che si terrebbero in primavera 2027 forse assieme alle comunali: molto difficile che una città così importante come Milano prenda una strada diversa da quella nazionale. Ultimo elemento che complica ulteriormente è la posizione della corrente di Bonaccini che ha subito la scissione dei riformisti e si trova in mezzo tra questi e i seguaci di Schlein: potrebbero schierare Anna Scavuzzo, reduce dal successo dell’operazione San Siro e numero due di Sala, sarebbe anche un riferimento per il mondo cattolico. Il suo punto debole è che, al momento, non può contare sull’appoggio del sindaco alle primarie. Inoltre sul voto cattolico dem avrebbe la concorrenza di Calabresi che proviene da quest’area e persino da Majorino che da assessore al Welfare ha stretto forti legami con il mondo dell’associazionismo. Qualora le primarie non decollassero la via obbligata sarebbe la scelta di un nome negoziato dai partiti, un’ipotesi che Franco D’Alfonso vede come la peste: “I partiti sono comitati elettorali per cui le primarie sono il metodo più consono a questa natura odierna – spiega al Foglio l’ex uomo forte della giunta Pisapia – e costituiscono un momento importante di politica, non sono un beauty contest ma l’occasione per un confronto di idee e programmi e per mobilitare l’elettorato”. In caso contrario i rischi per il centrosinistra sono alti: “Mi auguro che la scelta del sindaco non avvenga attorno a un tavolo in cui dominano logiche che niente hanno a che fare con Milano e con una tradizione di autonomia che valeva anche ai tempi della Prima repubblica”. Chi resta esente da questi travagli è il centrodestra dove le primarie sono tabù. La sola eccezione è rappresentata dal forzista Alessandro De Chirico che le propose, senza successo, nel 2020: adesso ci riprova, la settimana prossima ne parlerà con Gasparri al convegno sulla città organizzato da Forza Italia.