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Gran Milano

Milano bloccata e la grande fuga dei capitali. Il quadro

Giovanni Seu

Un report sul mercato di fascia alta che punta a Roma o all’est. L’analisi allarmata di Aspesi: capitali in fuga dalla città. "Le inchieste hanno bloccato tutto, in queste condizioni diventa molto difficile convincere i fondi a investire” 

Ormai si comincia a dirlo anche in pubblico e fa uno strano effetto se si pensa che solo nel decennio scorso Milano era la più attrattiva a livello europeo. Prima il Covid e ora le inchieste sull’urbanistica hanno fatto perdere il primato, oggi si assiste d un fenomeno di cui sono incerte solo le dimensioni. Un decina di giorni fa alla presentazione di un report sul mercato del lusso in città da parte di Engel & Völkers Italia – società che opera nel segmento Real Estate di pregio – è emerso che gli investimenti stanno prendendo altre rotte, come Firenze o Bologna dove sono in corso importanti progetti di riqualificazione. Ma è Roma, in questo momento, la calamita più forte grazie a circa 4,8 miliardi di euro stanziati per realizzare oltre 600 progetti del Giubileo 2025.

 

L’analisi convince solo in parte Federico Filippo Oriana, presidente di Aspesi: “Milano ha vissuto 10 anni effervescenti, grazie alle multinazionali composte in gran parte da fondi Usa e anche arabi, basti pensare a quelli del Qatar arrivati qui con Coima di Catella. Adesso li stiamo perdendo ma non a favore della città italiane, perché Genova e Torino non sono attrattive per il business immobiliare, Bologna sta avendo gli stessi problemi di carattere giudiziario che vive Milano, solo Roma dimostra vitalità perché dispone di spazi e un settore alberghiero che non conosce sbalzi; ma non basta per convincere gli stranieri a restare, i loro orizzonti sono altri: preferiscono Barcellona, Madrid, Lisbona oppure l’est: Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca dove i costi di produzione sono inferiori”.    
Perché i grandi player internazionali ci hanno lasciato, o sono intenzionati a farlo, ha una serie di cause che il leader dell’associazione italiana di imprese immobiliari mette in fila: “A differenza di altri settori nell’immobiliare gli investimenti si fanno prima ancora di ottenere l’autorizzazione a costruire, se fai una domanda al Comune devi già possedere il sito: questo approccio necessita la certezza sui tempi, le normative, le modalità di attuazione delle opere che Milano non è più in grado di offrire e così i fondi scappano”.

 

Il primo ostacolo è rappresentato dalla confusione normativa che paralizza l’attività delle imprese: “Guardiamo i riferimenti normativi più recenti, c’è il testo unico dell’edilizia del 2001, più di recente la legge del 2020 voluta dal governo Conte che liberalizzava il settore, poi ci sono le norme del Pgt vigente ma per la procura di Milano bisogna rifarsi alla legge del 1942 che, tra le altre cose, prevede che se un edifico è alto più di 25 metri richiede la presentazione di un piano attuativo”. Poi ci sono le incognite che arrivano dal mercato, i limiti di uno sviluppo urbanistico che iniziava ad arrancare già prima: “Milano è pressoché satura, spiega Oriana, il problema è che proprio quando si stava riflettendo su come riorientare lo sviluppo sono arrivate le inchieste che hanno bloccato tutto. In queste condizioni diventa molto difficile convincere i fondi a investire, la possibilità di avere intoppi è alta: è più sicuro acquistare titoli Usa che offrono rendimenti del 6 per cento”. 


Quali siano le conseguenze lo dicono i numeri. Secondo uno studio di Aspesi il blocco dei cantieri pesa per 5 miliardi ma se consideriamo la filiera si arriva a 40 miliardi. Quanto agli alloggi, in città se ne costruiscono ogni anno 2.400 ma il fabbisogno arriva 9.900, quattro volte tanto. Se poi vogliamo proiettare a livello nazionale l’incidenza dell’edilizia, secondo i calcoli di Carlo Cottarelli circa il 30 dell’economia è più o meno coinvolta: “Sbaglia chi pensa che sia in ballo soltanto la possibilità di costruire grattacieli o case per ricchi – ragiona il presidente di Aspesi – è in gioco un modello di sviluppo che riguarda le fasce più deboli che hanno bisogno di una casa e anche la tutela ambientale perché le nuove costruzioni sono tutte green e c’è la possibilità di recuperare 204 siti abbandonati. Ecco perché tocca alla politica intervenire in tempi rapidi per assicurare una legge nazionale che restituisca la certezza del diritto”. 


Ad attendere con apprensione un chiarimento legislativo ci sono anche le cosiddette famiglie sospese che hanno acquistato casa prima che le inchieste bloccassero i cantieri. Sono 4.500, organizzate in un comitato che stimola la politica a trovare una soluzione e realizza studi sull’edilizia: secondo una ricerca appena pubblicata a Milano ci sarebbero 1.200 edifici e 40 mila abitazioni con le stesse caratteristiche degli edifici oggetto d’indagine da parte della procura. In sostanza sarebbero tutti potenzialmente irregolari, con la conseguenza che potrebbero essere coinvolti oltre 100 mila cittadini milanesi. Tra gli edifici sarebbero ben 400 quelli residenziali sopra i 25 metri di altezza, realizzati con titolo edilizio diretto, senza piano attuativo: siamo di fronte, insomma, a una illegalità di massa difficile da perseguire. Lo studio-provocazione del comitato serve a fare capire meglio le dimensioni assunte dal blocco urbanistico e le potenzialità negative che potrebbero concretizzarsi qualora non si trovi una risposta alla crisi urbanistica in atto ormai da quasi due anni

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