Foto Ansa 

Gran Milano

Pellizza da Volpedo, una gran mostra “necessaria” per Milano

Francesca Amé

Con oltre quaranta opere, l'esposizione alla Gam celebra la profondità artistica e umana del pittore piemontese, superando la visione riduttiva legata al solo Quarto Stato. La mostra restituisce l’intera gamma espressiva dell'artista 

Pellizza da Volpedo e ora anche di Milano. Il cantore del piccolo mondo antico, sobrio e immutabile come sa essere solo certa provincia piemontese, ha trovato nella metropoli di oggi il luogo ideale dove esibirsi, essere capito e finalmente apprezzato. La contraddizione è solo apparente: nella città che sale, l’arte pacata di Pellizza (1868-1907) si è ritagliata un suo spazio. A Milano ci sono infatti alcuni dei suoi capolavori: Quarto Stato, ovviamente, ma anche il delizioso Girotondo e L’attesa – tutti della collezione permanente della Gam - Galleria d’Arte Moderna di via Palestro, l’ultimo è una donazione dello scorso anno – e poi Fiumana da cui il neonato percorso di Palazzo Citterio parte, in maniera non poco significativa, per poi aprirsi al Novecento. Mancava fino a oggi “the big think”, la grande mostra, ma adesso, anche per merito della tigna e dello studio di Paola Zatti, che della Gam è soprintendente, si è colmata questa lacuna, a oltre un secolo di distanza dall’ultima monografica dedicata a Pellizza a Milano. Per la cronaca: fu nel febbraio del 1920, nella Galleria di Lino Pesaro (che chiuse poi nel ’37 e se ne stava al pian terreno del palazzo accanto a quello che oggi è il Museo Poldi Pezzoli). Non si può pertanto bucare la visita a “Pellizza da Volpedo. I capolavori” (fino al 25 gennaio), “una mostra necessaria”, dice Zatti, e con un titolo che pare alla prima lettura fin presuntuoso, e invece no. Chiunque visiti questa esposizione curata da Paola Zatti con Aurora Scotti (“una che a Pellizza ha dedicato la vita”, come lei stessa si presenta e le pubblicazioni confermano) non può che convenire con il titolo. 

Scandita in cinque sezioni e quaranta opere tra dipinti e disegni è davvero un “best of Pellizza” di rara potenza, un Greatest hits raffinato. Per vincere facile potremmo saltare tutte le premesse e andare al colpo di teatro, che sta alla fine del percorso espositivo: al piano nobile della Gam, dove dal 2 luglio del 2022 è esposto il celeberrimo Quarto Stato, sono allestiti, per la prima volta in diretto e inedito confronto, tre dei cartoni preparatori dell’opera (prestito importante della romana Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea). Non è solo scenografia: qui “i Pellizza” si trovano proprio dove dovrebbero essere. Dopo un peregrinare a vuoto, e una trentennale  e infelice esposizione nella stessa Gam e dopo l’inconcludente trasloco nel 2010 al Museo del Novecento quale opera simbolo della fine della stagione ottocentesca, adesso il Quarto Stato, e con questi cartoni preparatori ancor di più, ritrova il suo posto nel mondo: opera capitale ed emblema di un’epoca, spesso unico dipinto immediatamente collegato al suo autore, appare in perfetta continuità col resto della collezione permanente del museo milanese. Arriva infatti dopo le sale monografiche dedicate ad Emilio Longoni, a Gaetano Previati, a Giovanni Segantini. “Quarto Stato non è solo un’opera emblematica dal punto di vista iconografico”, dice Zatti. “E’ un’opera che ha dato a Pellizza una notorietà che non cercava e di cui spesso sono state fraintese le intenzioni: è un lavoro che alla fine lo ha isolato”, rincara la dose Scotti.

Pellizza era sì convinto che i paesaggi e le persone, in particolare i lavoratori dei campi di Volpedo, fossero perfetta metafora dell’universale lotta umana, ma la sovrastruttura (politica o, peggio, ideologica) gli è sempre stata estranea: Pellizza da Volpedo cercava visioni, si arrovellava sulle tecniche pittoriche, non ambiva a denunce sociali. Soprattutto, forte della lezione accademica (a Brera) e ancor di più di quella appresa nello studio del bergamasco Cesare Tallone – il pittore che gli ha dimostrato, dopo un rapido girovagare a Roma e Firenze, che si può diventare dei grandissimi anche restando a casa propria – Pellizza da Volpedo per tutta la vita s’interrogò sul contrasto tra sentimenti umani e natura. E allora vale la pena visitare con calma il primo piano di questa mostra di capolavori, coprodotta dal comune e da METS Percorsi d’Arte (che ha contribuito anche alla genesi della bella docufiction “Pellizza. Pittore da Volpedo”, di Francesco Fei con Fabrizio Bentivoglio, rimessa in circolazione per l’occasione da Sky Arte, in streaming su Now). E’ infatti in questa prima sezione che troviamo tutte le cinquanta e oltre sfumature dell’arte di Pellizza. Uno che neanche arrivò a quarant’anni eppure seppe attraversare, con mano curiosa sulla tavolozza e mente concentrata sullo studio, la stagione verista e il Divisionismo per arrivare a un peculiare Simbolismo. Il tutto, praticamente senza muoversi dalla cara Volpedo, artista solitario ma in fondo non isolato come mostra l’Autoritratto della prima sala, gran prestito dagli Uffizi. La “necessità” di questa mostra sta nel restituirci la complessità dello sguardo di Pellizza da Volpedo, capace di concepire gialli intensi e sovraumani come quelli di Panni al sole (da collezione privata, raramente in prestito), scene drammatiche come quelle in Speranze deluse, una luce mistica come nel Sole (altro prestito notevole dalla GNAMC di Roma) e un paesaggio dell’anima come accade ne Il Ponte, che arriva dalla Pinacoteca Divisionismo di Tortona, tempio da visitare una volta nella vita, se si ama questo genere di pittura.