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Gran Milano

Chi vince e chi perde, il derby politico di San Siro riapre tutto

Giovanni Seu

Il via libera al nuovo stadio ha scosso profondamente gli equilibri politici a Palazzo Marino, mettendo in crisi la maggioranza e aprendo un’aspra riflessione interna. Ma nonostante la vittoria, Sala esce ammaccato 

Non solo la delibera più importante del mandato, che ha impegnato il Comune per quasi 7 anni, ma una sorta di tsunami che cambia la geografia politica di Palazzo Marino. I contraccolpi del voto su San Siro, nonostante Sala sia già al lavoro per ridimensionare gli effetti, e in ogni caso ne è uscito pur ammaccato vincitore, sono stati forti e non sono ancora terminati, in entrambi i campi si annunciano regolamenti di conti. Può apparire paradossale che sia il centrosinistra, che pure ha superato con grande fatica lo scoglio del nuovo stadio, a trovarsi a ridefinire i propri confini. C’è un intero gruppo consiliare, i Verdi, che ha votato contro, Carlo Monguzzi ieri ha reso formale la sua uscita dalla maggioranza e il leader nazionale Angelo Bonelli ha posto il tema se esistano ancora le condizioni per sostenere la giunta. A complicare le cose c’è l’assessora Elena Grandi, mai amata dal gruppo e ora possibile uscente nell’imminente rimpasto. C’è poi la lista civica che porta il nome del sindaco con il capogruppo Marco Fumagalli che non ha votato e si è dimesso dalla guida del gruppo: ci sarebbe da fare una riflessione sulle liste civiche: le si vogliono aperte ma poi risultano prive di un profilo politico.

Lo scorso mandato era stato Enrico Marcora ad abbandonare Sala per diventare un suo acerrimo avversario (con Fdi), come si è visto anche nella seduta di lunedì, e in quello in corso il ruolo è stato preso da Enrico Fedrighini. E c’è da ricordare che solo le dimissioni di Gabriele Rabaiotti (Lista Sala) in gennaio hanno impedito al fronte del no di avere un sostenitore in più. Un serio problema politico c’è in casa del Pd, che si è trovato con 3 consiglieri che hanno votato contro e altri 2-3 persuasi solo in extremis. Ha prevalso il senso di responsabilità e la consapevolezza che la vittoria del no avrebbe travolto, o quantomeno menomato, l’amministrazione Sala. Che da qui al voto si perda qualche altro consigliere – dal 2021 a oggi sono passati da 20 a 17 – è nella logica.  Il voto del 30 settembre annovera anche non pochi vincitori. Alcuni non ipotizzati, come la vicesindaca Anna Scavuzzo cui Sala ha consegnato la patata bollente di San Siro: con pazienza, abilità, capacità di mediazione la neo assessora all’Urbanistica ha portato a casa una delibera preziosissima in condizioni di estrema difficoltà tra tempi strettissimi, critiche interne e la diffidenza di tanti ambienti di sinistra. Ora entra di diritto nel novero dei successori di Sala. Una menzione anche al capo di gabinetto del sindaco Filippo Barberis, che ha condotto dietro le quinte un’opera di tessitura che ha consentito di tenere insieme la maggioranza. Vincono anche i Riformisti, i più decisi nel sostenere la linea Sala, che però costituiscono un gruppo politicamente poco omogeneo con Mario Radice di Italia dei Valori e Giulia Pastorella e Daniele Nahum di Azione. 


Nell’altro campo la situazione è ancora più complicata, all’ultimo momento Forza Italia ha sparigliato decidendo di uscire dall’aula, di fatto assicurando la vittoria del sì. Sul perché di questa azione clamorosa c’è una lettura nobile: Letizia Moratti, che ha promosso la svolta, ha voluto raccordarsi con il mondo produttivo ambrosiano che a ridosso del voto si è speso per il nuovo stadio. Assolombarda, Confcommercio e il Corriere che da sempre è l’interprete più attento della borghesia, hanno fatto capire che bloccare tutto sarebbe stato un suicidio per una città già provata inchieste e cantieri fermi. L’altra lettura, più prosaica, è costruita sui retroscena che vedono contatti tra Moratti e Sala – due manager che hanno collaborato assieme nel 2009 a Palazzo Marino – che avrebbero portato a modificare la rotta del gruppo di Forza Italia. Ad arricchire ci sarebbe anche l’attività di lobby delle squadre, positiva quella del presidente del Milan Paolo Scaroni presso la famiglia Berlusconi, meno efficace quella del suo omologo dell’Inter Beppe Marotta nei confronti di Ignazio La Russa, da sempre molto vicino al club neroazzurro. Alla fine il presidente del Senato avrebbe accettato la posizione di Fdi in Comune che insieme alla Lega sognava lo sgambetto a Sala. Ma mentre la loro posizione si è dimostrata non gradita ai tradizionali stakeholder del centrodestra, ora una Forza Italia rafforzata proverà a passare all’incasso e magari ritornare a dare le carte future, come ha fatto a Milano per venti anni.

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