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Gran Milano

Il giardino delle meraviglie della Gam e altre meraviglie d'arte

Francesca Amé

Dietro la Villa Reale di via Palestro è esposta la mostra en plein air di Sara Enrico, artista che realizza sculture di tessuto e cemento capaci di immaginare paesaggi nuovi dentro questo parco urbano

Se non siete mai entrati nel “giardino delle meraviglie” che sta dietro la Villa Reale di via Palestro (già Villa Belgiojoso e oggi sede della GAM, la Galleria d’Arte Moderna), è arrivato il momento. Nota pratica: di solito il parco è aperto “solo agli adulti accompagnati da bambini” – dicitura deliziosa per preservare l’area dal bivacco generale e limitare gli ingressi – ma fino a metà dicembre sarà fruibile da tutti, e gratuitamente, perché ospita la mostra en plein air di Sara Enrico, 46enne artista piemontese che realizza sculture di tessuto e cemento capaci di immaginare paesaggi nuovi dentro questo parco urbano. L’intervento di Enrico è il settimo della “Furla Series”, nato dalla intelligente collaborazione tra GAM e Fondazione Furla (segno che sì, l’arte contemporanea funziona nei musei storici, se è ben innestata). Per la prima volta “si va all’aperto” e l’occasione è ghiotta per scoprire tutti gli altri tesori nascosti, artistici e naturali, di questo luogo che è – ricorda Paola Zatti, che della GAM è capace conservatrice –  “il primo esempio di giardino pittoresco a Milano”.

 

Entriamo allora dal cancello in ferro battuto, a sinistra dell’ingresso della GAM: passiamo su vialetti in ghiaia (da sistemare meglio, va detto) ed “Eccolo – dice Zatti –  Abbiamo concluso il restauro due settimane fa: il gruppo scultoreo è stato pulito così come l’edicola ed è stato messo un vetro antiriflesso”. Davanti a noi c’è uno dei capolavori della scultura italiana del Novecento, la Trilogia “Il Santo, il Giovane, la Saggezza, e la Fontana della vita”, realizzato da Adolfo Wildt una prima volta nel 1902, ma non apprezzato all’Expo di Milano, e poi rifatto nel 1912 per la Triennale di Brera e a tal punto piaciuto da essere posizionato subito nel giardino della Villa. Se ora la scultura spicca nel suo candore, dopo anni d’abbandono, è anche merito di Valextra, che ne ha sostenuto il restauro: arriveranno però dal Comune i necessari contributi per la valorizzazione del resto della parte arborea e artistica del giardino. Gianfranco Maraniello, dir del Polo civico museale moderno e contemporaneo cui GAM afferisce, lo ha promesso e Paola Zatti – lo anticipa al Foglio – ha già in mano “un dossier parco” per trasformare Villa Reale-GAM e il giardino in un “museo aperto tra arte e natura”.

 

Suona come un ritorno alle origini, ché lo spazio verde, disegnato alla fine del Settecento dall’architetto viennese Leopold Pollack su commissione del conte Lodovico Barbiano di Belgiojoso (che aveva voluto il suo buen retiro, una villa suburbana all’avanguardia, in quella che era Porta Orientale) era proprio nato come museo a cielo aperto. C’è il Tempietto neoclassico dedicato alle Parche e, segno del gusto romantico dell’epoca, una torretta che ricorda quella dell’infernale Conte Ugolino (con tanto di iscrizione “Uscite di speranza, o voi ch’entrate”), una “Tomba di Laura” (qui il riferimento è al Petrarca) mentre al centro del laghetto del giardino s’intravede il tempietto dedicato all’Amore. Contrappunti scultorei in futuro da valorizzare sono anche l’opera “Origine” di Andrea Cascella, brutalismo made in Italy anni Settanta, la stele funeraria ottocentesca di Pompeo Marchesi e le copie anni Ottanta dei “Sette Savi” di Fausto Melotti, sorprendente presenza metafisica. Presto, assicura Zatti, sarà sistemato il piccolo roseto vicino alle terrazze della Villa Reale–GAM, che al suo interno custodisce opere del Sette-Ottocento italiano (tra i tanti: Appiani, Hayez, Segantini e soprattutto Pellizza da Volpedo, cui la settimana prossima sarà dedicata un’epocale monografica). Concepito così, “un parco, una villa, un museo”) il complesso della GAM pare avviato a magnifiche sorti e progressive. 

 

Nel frattempo, poco distante, anche la Fondazione Luigi Rovati s’impreziosisce di nuove sculture: da oggi, una serie di raffinati lavori in porcellana biscuit (ovvero che pare marmo) è distribuita negli spazi del palazzo di corso Venezia, inclusa la facciata interna che dà sul giardino segreto. E’ la nuova installazione permanente firmata da Diego Cibelli, artista napoletano classe ’87. “Una vita all’aria aperta” è il titolo del progetto, chiosa perfetta di un possibile, anzi auspicabile connubio tra arte e natura (urbana).