LaPresse

Gran Milano

Il “modello Milano” è vecchio, dice il Pd: ma uno nuovo ce l'ha?

Fabio Massa

O si inizia a ragionarne oggi oppure quando arriveranno i tempi duri la capacità di programmazione si farà asfittica. Le idee camminano sulle spalle degli uomini e delle donne. E allora, si attendono ancora i nomi o il nome per la giunta

C’è chi ha il vecchio modello, e chi per adesso un modello non ce l’ha. Si parla ovviamente non di auto ma del “modello Milano”. Errore lessicale oppure politico, è chiaro che per il centrosinistra il modello Milano è ormai sorpassato; e ancora non si sa quando e se uscirà mai un modello Milano by centrodestra (cercasi intellettuale illuminato che tratteggi almeno uno schizzo). Dunque, dopo una estate passata a leggere una per una, e opportunamente scandite giorno per giorno, tutte le intercettazioni che sono state depositate agli avvocati dalla procura – districandosi in centinaia di pagine a colori: blu i messaggi del sindaco, verdi quelli di Tancredi e Catella – il centrosinistra ha convinto tutti, o almeno sé stesso, che serviva un cambio di passo. Sul famoso “modello”. Anche il Meazza è stato derubricato da Beppe Sala a questione meramente amministrativa: io propongo la vendita, ha detto il sindaco, e poi il Consiglio, se vuole, dispone. E la politica, se vuole, se ne fa carico. In ogni caso, non sarà una tragedia di tipo politico, ha detto: anche una bocciatura non porterebbe a dimissioni. Insomma: chi si aspettava la scena finale di un film sulla musica di “the final countdown” rimarrà deluso: Sala è stato capace di spersonalizzare la vicenda. Del resto Renzi docet: il referendum non è mai una buona idea. 

 

Ma questa è la parte politica, la Giunta, che dopo un estate di bombardamenti si è risistemata in un tranquillo “quieta non movere”. Rimane però, per la città, tutto il tema di cui sopra: il modello Milano è old style? Se sì, come soprattutto a sinistra si dice, si attendono idee forti da pare innanzitutto dal Pd. Per ora non se ne sono viste se non una generica attenzione al piano casa (ideato e scritto da Guido Bardelli, uno di quelli rimasti scottati dalla politica) e proclami di giustizia sociale. Il resto sono piccinerie: Pierfrancesco Majorino che dice a Manfredi Catella a cui hanno occupato un cantiere pagato a peso d’oro di tacere, ad esempio. Non c’è alcuna elaborazione organica dem su un nuovo sistema di welfare, ad esempio. Non c’è alcuna elaborazione organica su un nuovo progetto che sorpassi l’idea andata “over” tutto delle “week”, la Milano place to be non tira più (suggerimento: più riflessione civica non farebbe male). E non c’è alcuna elaborazione organica in casa dem su un nuovo concetto di mobilità, magari partendo dai 100 milioni l’anno che mancano ad Atm e soprattutto dalla necessità urgente di programmare le estensioni delle metropolitane per i prossimi 10 anni.

 

 

O si inizia a ragionarne oggi, con il lascito di Arrigo Giana in termini di solidità e stabilità dell’azienda, oppure quando arriveranno i tempi duri (e arriveranno) la capacità di programmazione si farà asfittica, in debito di ossigeno finanziario. Si potrebbe dire che le idee camminano sulle spalle degli uomini e delle donne. E allora, si attendono ancora i nomi o il nome per la giunta. Detto che l’Urbanistica resta dove sta, in capo alla vicesindaca Scavuzzo, che va elogiata per il sacrificio (è una polpetta avvelenata, e tutti vogliono stare lontano), che cosa si fa sul resto? Si aspetta primavera, come Bandini, dopo le Olimpiadi che saranno offriranno un bel rimbalzo per l’immagine appannata del modello Milano? O abbiamo scherzato sul fatto che sia obsoleto (anzi tossivco) e vogliamo rivenderlo tale e quale ai milanesi? E dunque dica il Pd come intende procedere: nuovo modello oppure un restyling del vecchio? Sennò nella confusione si finisce come Stellantis, il che non è di buon auspicio.

Di più su questi argomenti: