Alle Gallerie d’Italia le immagini di Publifoto del concerto dei Beatles del 1965

GranMilano

“Tutti pazzi per i Beatles”. Solo i fotografi capirono la rivoluzione

Francesca Amé 

"Quartetto musico-vocale”, così l’agenzia Publifoto definiva i Beatles, The Fab Four, nello schedario del suo corposo archivio. Ma chi erano mai questi Beatles, canteranno poi gli Stadio: di certo, al tempo, le telecamere Rai, pare piccate per una mancata comparsata del gruppo a uno dei programmi di punta della tv nostrana, non lo capirono affatto: visto che snobbarono, con rara incapacità di intuizione, il concerto “più storico” a Milano, il doppio show di Lennon&Co nel leggendario Vigorelli in un caldissimo, oggi come allora, 24 giugno 1965.

   

A sessant’anni di distanza da quell’evento – due slot musicali da 45 minuti l’uno, con una scaletta che prevedeva solo le grandi hit, una dozzina di brani, da Twist and Shout in apertura alla mitica Ticket to ride – le Gallerie d’Italia di Milano hanno confezionato la mostra-amarcord “Tutti pazzi per i Beatles. Il concerto del 1965 a Milano nelle fotografie di Publifoto”, a cura di Barbara Costa, responsabile dell’Archivio Storico Intesa Sanpaolo, da dieci anni proprietario anche dell’intero archivio Publifoto: qualcosa come 7 milioni di fotografie, dagli anni Trenta agli anni Novanta del Novecento. In mostra fino al 7 settembre possiamo gustarci ora 62 scatti della due giorni milanese dei Beatles, ma in occasione dell’esposizione tutte le foto relative all’evento saranno restaurate, digitalizzate, catalogate e aperte online alla pubblica fruizione: i numeri sono impegnativi, ché l’agenzia foto-giornalistica scattò (lei sì con grande intuito) oltre 500 fotografie in 48 ore, mettendo in campo 7 dei suoi fotografi migliori (ecco i nomi: Sergio Borsotti, Sergio Cossu, Gianfranco Ferrario, Carlo Fumagalli, Benito Marino, Eugenio Pavone e Tino Petrelli), con uno sforzo economico e organizzativo non da poco.

 

Tino Petrelli firma una delle foto che hanno fatto la storia: immortala i Beatles tutti insieme su una Alfa Romeo Spider, dopo il loro arrivo dalla Stazione Centrale (erano partiti in treno in sordina da Lione). Gli organizzatori si erano attrezzati in grande stile e di Spider ne avevano preparate addirittura 5, ma l’assedio dei fan (le cronache parlano di circa duemila persone) fece sì che i Fab Four ottimizzarono la corsa in hotel con un viaggio su un’unica vettura. Altri scatti notevoli: il gruppo brit davanti alle guglie del Duomo (lo shooting venne fatto sulla terrazza al sesto piano di quello che allora era il Grand Hotel Duomo) e poi ancora la conferenza stampa, quando Lennon rispondeva sicuro di sé che i Beatles sarebbero durati a lungo davanti a cronisti non troppo convinti. Del resto, Leo Wätcher, già promotore di jazz e swing che portò i Fab Four in Italia nella loro pur breve tournée (Milano, Genova, Roma, dal 24 al 28 giugno), aveva dovuto arrabattarsi e non poco per ottenere gli spazi del Vigorelli (22 mila posti, mai del tutto riempiti nel concerto pomeridiano delle 16 e in quello serale delle 21, con supporter, tra gli altri, Peppino di Capri, i New Dada, Fausto Leali). In mostra vediamo i Beatles che suonano sul palco, ma soprattutto cogliamo il vero protagonista di questo evento, ovvero il pubblico, che la crew di fotografi di Publifoto immortalò con dovizia, regalandoci oggi un saggio di antropologia culturale anni Sessanta e made in Italy. Di quella calda giornata e serata estiva restano i volti, i capelloni, gli scatti delle urla, della folla, delle minigonne, degli striscioni. Sono le immagini del “fandom italiano” tra poster, bandiere, abbracci, baci: sono i bianco e nero, eppure esplodono di colori e di vita. C’è un ragazzo che mostra orgoglioso un ritratto di McCartney, una ragazza che piange per l’emozione, un poliziotto che sorride sornione davanti alla folla. A sessant’anni di distanza, e in modo decisamente più accurato delle cronache dell’epoca (giornalisti e intellettuali italiani capirono tardi la brit wave e ancor più tardi i nuovi “ggiovani”), questa esposizione fotografica alle Gallerie d’Italia dimostra come un evento pop contribuì e non poco alla creazione di un mito per una generazione che – non ancora invischiata nella stagione sessantottina – celebrava e si celebrava con gioia, leggerezza e un senso di ritrovata (più o meno consapevole) libertà. 

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