La mostra alla Fondazione Rovati - foto LaPresse

Gran Milano

La Design Week etrusca è alla Fondazione Rovati

Francesca Amé

"Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi" è la mostra curata da Laura Michetti e Giuseppe Sassatelli che sottolinea il ruolo innovativo degli Etruschi nell'organizzazione delle città e nel commercio marittimo

Entriamo alla Fondazione Luigi Rovati di corso Venezia con la serena consapevolezza che, ancora una volta, resteremo sorpresi per l’originalità di quel che vedremo. Manca poco alla produzione di eventi (pessimo lemma) che, ad aprile, renderanno Milano ingolfata da una mai così ingorda Design Week preceduta da una Art Week ancora in cerca di identità e il riflesso condizionato è quello di girarci da un’altra parte, magari indietro, per scoprire che esiste un passato che in qualche modo dice tanto di noi, oggi. Eccoci allora scendere negli spazi ipogei della Rovati per vedere Vulci. Produrre per gli uomini. Produrre per gli dèi (visitabile fino al 4 agosto), una mostra che inaugura un ciclo dedicato alle metropoli etrusche. Ci ha fatto da guida Laura Michetti che alla Sapienza di Roma è docente di Etruscologia e Antichità italiche e che, con Giuseppe Sassatelli, presidente dell’Istituto nazionale di Studi Etruschi e Italici, ha curato il progetto: “Pensiamo agli Etruschi e subito visualizziamo le necropoli in terra, ma loro sono stati il primo popolo italico a vivere in città, i primi a scegliere di vivere in ‘metropoli’ organizzate. Prediligevano i pianori del centro Italia, così avevano terreni e soprattutto un sottosuolo fecondo di risorse, che prontamente mettevano sul mercato, perché dai loro centri non perdevano di vista il mare e i suoi commerci. Popolo fiero e raffinato, gli Etruschi erano anche di indole accogliente: dai greci che si erano stabiliti nelle loro città hanno appreso l’alfabeto, quello greco euboico, le tecniche della lavorazione del bronzo e della ceramica, e la cultura del vino che ha trasformato il banchetto etrusco in un momento di socialità importante”. Sulla città di Vulci, poi, c’è ancora tanto da indagare: punteggiata di botteghe e di case, nelle necropoli aveva gli arredi più belli in circolazione (ché, va detto: gli Etruschi erano un po’ bauscia, amavano l’ostentazione della ricchezza personale) e già nel Settecento è stata saccheggiata dai tombaroli (incluso Luciano Bonaparte, fratello di Napoleone).
 

Questo spiega perché i suoi tesori sono oggi sparsi nei musei di tutto il mondo. A Milano, grazie alla caparbietà di Giovanna Forlanelli, presidente della Fondazione Rovati, che ha ottenuto prestiti da un numero di musei (inclusi i Vaticani) che sarebbe troppo lungo elencare qui, si possono vedere reperti incredibili come la coppia di mani in lega d’argento, accompagnata da un collarino in osso, rinvenuta appena una decina di anni fa nella cosiddetta necropoli dell’Osteria di Vulci. Appartenevano a una statua, probabilmente in legno od ossa, posta nella stanza di un defunto importante accanto alle sue ceneri, raccolte dopo la cremazione: “Gli Etruschi amavano la messa in scena e allestivano nelle tombe delle vere rappresentazioni teatrali”, spiega Michetti. Maestri della ritualità (ogni città veniva fondata secondo rigide regole dettate dai sacerdoti), gli Etruschi avevano un rapporto complicato con l’Aldilà e, impreziosendo con utensili e maschere le tombe, parevano voler esorcizzare grazie anche al vil denaro la paura del dopo, rappresentata dalle sfingi e dalle creature fantastiche che sono rimaste nei decori. Candelabri, spade troppo belle per essere usate, una maschera-visiera in bronzo scintillante e poi ancora ceramiche, come quella attribuita al pittore delle Rondini, ci riportano al nono secolo avanti Cristo, in piena Maremma: in mostra dialogano con due opere contemporanee della collezione della Fondazione Rovati, finora inedite per il pubblico italiano. Si intitolano Cocci e Colonna di menti, sono entrambe dei primi anni Ottanta e sono state modellate dalle mani dello scultore Giuseppe Penone, oggi 76enne che vive a Torino, un campione dell’Arte Povera che da tempo si interroga sul rapporto tra uomo e natura. Tra i reperti di ieri e quelli di oggi c’è una corrispondenza suggestiva, che poi è il motivo per cui ogni volta che visitiamo le mostre prodotte dalla Fondazione Luigi Rovati sappiamo che abbiamo fatto la scelta giusta.

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