Giovan Battista Moroni, il sarto - foto Wikipedia

Gran Milano

Ok, la mostra è questa. Il gran Moroni alle Gallerie d'Italia 

Francesca Amé

Milano ha vinto puntando tutto sul nome di un artista cresciuto ad Albino, in Val Seriana

Vincere tutto puntando non su un nome facile, non su un artista instagrammabile e nemmeno su un grande classico, ma su uno nato e cresciuto ad Albino, Val Seriana, nel cuore del Cinquecento e diventato famoso per le pitture devozionali e i ritratti di gente dell’epoca. Potevano riuscirci solo le Gallerie d’Italia, e infatti la mostra da non perdere durante queste festività natalizie è quella da loro dedicata a “Moroni (1521-1589). Il ritratto del suo tempo” (fino al primo aprile). Impegnativa per numero di opere esposte (oltre un centinaio tra dipinti, pale d’altare, ritratti, medaglie, libri, disegni, persino armature) e per prestiti (dalla National Gallery di Londra al Prado, dal Philadelphia Museum of Art al Louvre), è una mostra così anacronistica da risultare necessaria. Merito della premiata ditta Simone Facchinetti & Arturo Galansino, curatori, che per la terza volta (squadra che vince non si cambia) lavora sul Moroni: una decina di anni fa il successo a Londra, con una mostra alla Royal Academy apprezzata non solo dagli specialisti, e qualche anno dopo il bis alla Frick Collection di New York. “Ma questa a Milano è grande il triplo”, ci dice Galansino. Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa Sanpaolo, ne è entusiasta (“è una delle pagine più belle e intense della pittura del Cinquecento lombardo”), gongolano anche l’Accademia Carrara di Bergamo e la Fondazione Brescia Musei con cui l’esposizione è organizzata. Del resto, è così che si chiude in grande, grandissimo stile, il programma Bergamo Brescia Capotale Italiana della Cultura 2023.

Bocche cucite, come da tradizione, sui costi ingenti “a diversi zeri” dell’intero progetto, ma basta aggirarsi per lo spazio espositivo per rimanere sedotti dall’allestimento imponente, dalla perfetta scelta cromatica dei pannelli, dalla selezione impeccabile delle opere (possiamo dire che Il Sarto, prestigioso prestito della National Gallery di Londra con cui la mostra si chiude, vale da solo il biglietto?). Il percorso si apre con le opere di Moretto, la cui bottega Giovan Battista Moroni frequentò a lungo e ne sono prova gli schizzi e i disegni nelle prime sale: la straordinaria Caduta di San Paolo, eccezionalmente portata qui dal Santuario di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso, catalizza gli occhi di tutti, non appena si varca l’ingresso. Poco distante, un altro capolavoro di eleganza: è il Ritratto di Giovane di Lorenzo Lotto, amico di Moroni, dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia. Una mostra muscolare: gioca senza esclusione di colpi sui confronti anche con Tiziano, Veronese e Tintoretto per dimostrare una volta per tutte che il Manierismo è anche “roba lombarda” e che la linea settentrionale della storia dell’arte, troppo a lungo relegata a comparsa, è degna della prima fila. E allora seguiamo Moroni, figlio di un capomastro, mentre si muove per la sua Albino per poi spingersi a Trento, dove si tiene il Concilio controriformista, prima di tornare a casa, apprezzato e richiesto dai signorotti e dagli ecclesiastici locali (anche da san Carlo Borromeo, a dire il vero). Schivo, riservato e devoto: sulla carta Moroni manca totalmente di appeal rispetto a quel che siamo abituati a vedere in giro (la mostra è un’infilata di ritratti tutti al maschile, salvo alcune lodevoli eccezioni come quello della poetessa Isotta Brembati) eppure “questo sguardo senza filtri sulla realtà ci rende Moroni così vicino e simpatico, persino nel suo anacronismo”, commenta Galansino. I suoi ritratti al naturale costituiscono la sezione più gustosa del progetto espositivo: a Gabriele Albani Moroni non risparmia un bitorzolo sulla fronte, di Gabriel de la Cueva, futuro governatore di Milano, sottolinea l’aria guardinga e strafottente mentre di Giovan Gerolamo Grumelli esalta, con quel completo color confetto, il gusto da dandy (e infatti il dipinto, della collezione di Palazzo Moroni ora in concessione al Fai, è famoso come Il cavaliere in rosa). Ancor di più dei dipinti dedicati ai potenti, questa galleria di ritratti al naturale fa di  Moroni un perfetto reporter della sua epoca: i suoi set di posa sono sempre uguali e incredibilmente simili a quelli che nell’Ottocento avranno i primi fotografi. Il provincial Moroni, alla fine, si dimostra avanguardia pura

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