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Mentre Roma discute, a Sesto parte la biopiattaforma green. I progetti lombardi

Giovanni Seu

Il complesso inaugurato ieri alle porte del capoluogo lombardo rappresenta la punta di diamante di un sistema d’eccellenza regionale che vede dislocati nel proprio territorio ben 13 dei 37 termovalorizzatori che operano in Italia

Si potrebbe definirlo termovalorizzatore green ma sarebbe un po' semplicistico perché il complesso inaugurato ieri a Sesto San Giovanni è qualcosa di più complesso. La biopiattaforma green, questo è il nome della nuova creatura sorta sulle ceneri del termovalorizzatore “tradizionale” chiuso nel 2021, è articolata in tre ambiti deputati al riciclo dei rifiuti di varia natura. Il primo tratta 30 mila tonnellate l’anno di rifiuti umidi per la produzione di biometano e serve sei comuni lombardi abitati da 200 mila persone: Sesto, Pioltello, Cormano, Segrate, Cologno Monzese e Cinisello Balsamo. Il secondo è imperniato sui depuratori che producono fanghi indirizzati al 25 per cento per l’agricoltura come fertilizzanti e al restante 75 per alimentare un progetto senza precedenti in Italia: grazie ad un termoimpianto, ancora in fase di cantierizzazione, ogni anno 65 mila tonnellate di fanghi umidi potranno generare 11.120 MWh/anno di calore per il teleriscaldamento. 

 

Protagonista di questa operazione è Cap Holding, nata nel 1925 ad opera di alcuni comuni del milanese che si consorziarono per realizzare una rete di acquedotti. A quasi cent’anni dalla nascita si è trasformata in una Spa ma ha conservato il carattere pubblico, i soci sono 200 comuni dell’area metropolitana. Gestisce il servizio idrico integrato per una superficie popolata da 2.500.000 abitanti, tra cui il 10 per cento del comune di Milano, e da anni è impegnato in quei progetti di smaltimento e riutilizzo dei rifiuti che sono il cuore dell’economia circolare. Il primo interrogativo che suscita una società impegnata nell’erogazione di un servizio pubblico è se la sostenibilità ambientale sia compatibile con quella finanziaria: “Nel 2022 abbiamo fatto 25 milioni di utili – spiega al Foglio l’amministratore delegato di Cap, Alessandro Russo – ogni anno cresce l’Ebitda. La biopiattaforma è costata 50 milioni, una cifra contenuta grazie al fatto che abbiamo valorizzato e potenziato asset già in nostro possesso: siamo arrivati a questo traguardo dopo 6 anni di studi e ricerche sui migliori modelli nel mondo, in particolare quelli del nord Europa”.

 

L’impianto di Sesto è la punta di diamante di un sistema d’eccellenza lombardo che vede dislocati nel proprio territorio ben 13 dei 37 termovalorizzatori che operano in Italia. Per avere ancora più chiara la disparità della distribuzione basti pensare che la Lombardia ne vanta più di tutto il centrosud. Il problema più difficile, spesso insormontabile, per la costruzione di questi impianti si chiama consenso. Ambientalisti, sindaci, partiti, movimenti di diversa estrazione si coagulano per ottenere lo stop di un’opera ritenuta dannosa per l’ambiente, il territorio, persino il decoro: “Chiariamo subito una cosa: il problema sono i rifiuti non gli impianti – precisa Russo – peraltro i termovalorizzatori di ultima generazione offrono elevate garanzie sul piano ambientale: dobbiamo impegnarci per promuoverli altrimenti l’alternativa è la discarica. Con i soggetti del territorio bisogna avviare un percorso coinvolgendo aziende e associazioni: a questo scopo abbiamo istituito il Residential Advisory Board, un organismo consultivo che ha monitorato l’impatto ambientale della biopiattaforma in ogni sua fase”.

 

Un altro avversario, forse ancora più insidioso, è rappresentato da coloro che a parole si dicono a favore purché qualsiasi intervento si svolga a debita distanza da casa propria o dal proprio comune. E’ la cosiddetta sindrome Nimby che si manifesta implacabile quando si profila all’orizzonte un termovalorizzatore che, per i detrattori, non è altro che un inceneritore: “Il fenomeno esiste e va affrontato con il dialogo – dice Russo – bisogna spiegare che, al contrario dei luoghi comuni, queste opere possono essere un valore aggiunto per il territorio perché sono accompagnate da compensazioni che portano a una riqualificazione ambientale. L’importante è non imporre la supremazia della tecnologia e fare capire che l’ambiente si tutela proprio con iniziative come questa di Sesto che porterà ad una riduzione dell’anidrite carbonica e, sotto il profilo economico, a una riduzione delle tariffe”.

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