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Che cosa non funziona nel calderone del welfare in Lombardia?

Cristina Giudici

In regione distinguere il confine fra la spesa sociale e quella sanitaria nel piano socio-sanitario è un’impresa ardua anche per gli addetti ai lavori

Frammentazione. Centralizzazione. Voucherizzazione. E impossibilità di fare un’analisi della spesa rispetto al fabbisogno dei cittadini. Sono queste in sintesi le patologie, alcune croniche, del complesso rompicapo delle politiche sociali della Regione Lombardia. Infatti nessuno ha saputo dirci con certezza quale sia la cifra complessiva destinata alle politiche sociali. Non ce lo hanno detto per un semplice motivo: gli strumenti finanziari, tra fondi, piani e bandi messi a disposizione sono numerosi. Inoltre riuscire a distinguere il confine fra la spesa sociale e quella sanitaria nel piano socio-sanitario è un’impresa ardua anche per gli addetti ai lavori.

 

“C’è una difficoltà oggettiva a creare un coordinamento sia fra i diversi assessorati, sia fra gli erogatori di risorse che vengono dallo stato o dall’Unione europea”, spiega Valentina Ghetti, autrice con Cecilia Guidetti di una recente ricerca che prova a ricostruire con fatica il quadro delle risorse del welfare nazionale e lombardo. “I finanziamenti per il welfare sono sempre stati contrassegnati da una grandissima frammentarietà, in particolar modo nel confine fra risorse per la Sanità e il Sociale, e da una significativa discontinuità”, si legge nella loro lunga indagine pubblicata sul portale Lombardia Sociale, dove le autrici sottolineano: “Le risorse stanziate impiegano un anno, a volte di più, prima di essere assegnate”.

   

Il quadro parziale ricostruito per il 2022 mostra una crescita della spesa sociale “ma non sappiamo se le risorse rispondano al reale fabbisogno dei cittadini vulnerabili. Con i finanziamenti che finiscono in mille rivoli non possiamo sapere chi abbiamo accompagnato e a chi abbiamo dato una risposta”, spiega la consigliera regionale del Pd, Carmela Rozza, membro della commissione Sanità e politiche sociali e una vita passata a combattere per il diritto alla casa, mentre ci racconta una delle migliaia di richieste di aiuto che riceve: “Una donna con un figlio disabile grave è stata sfrattata da una casa privata e non ha diritto a una casa popolare né di emergenza perché i suoi risparmi ammontano a 48 mila euro. Per la Regione, lei è ricca”, osserva con amarezza. E questa è solo una delle tante storture delle politiche sociali legate alla crisi abitativa: ogni anno Aler restituisce 4 mila appartamenti e in tutta la Lombardia ce ne sono 15 mila sfitti, di cui 10 mila a Milano, e 50 mila persone in lista di attesa. “Paradossalmente la Regione federalista accentra le risorse da distribuire ai Comuni e invece dovrebbe avere solo un ruolo di coordinamento e di orientamento delle politiche sociali. La centralizzazione, sommata alla frammentazione degli interventi e alla rigidità delle norme e al mancato coordinamento fra i diversi assessorati, impedisce di capire se stiamo rispondendo ai bisogni dei cittadini. Perciò è impossibile fare un’analisi della spesa e valutarne i risultati. Questo è il nodo cruciale da sciogliere sulle politiche sociali della Regione Lombardia.” Il Fondo nazionale politiche sociali nel 2022 ha destinato alla Lombardia 56,2 milioni di euro di cui il 50 per cento andrà a minori e famiglie, mentre il Fondo nazionale per le non-autosufficienze è di 130 milioni (nel 2021 erano 106). Per il “Dopo di noi”, il percorso di emancipazione dalla famiglia d’origine per le persone con disabilità, ci sono 12,9 milioni di euro.

 

Eppure, ci fa notare Fabio Pizzul, capogruppo del Pd in Regione, “la legge sulla vita indipendente approvata il 6 dicembre scorso ha stanziato un milione di euro del Fna (Fondo per le non autosufficienze) per l’assegno di autonomia di 500-800 euro a disabili gravissimi che arriva a sostenere solo 100-160 persone in un anno”. Altro esempio di stortura sulle politiche sociali. Secondo la ricerca sul welfare lombardo di Lombardia Sociale, aumenta in modo rilevante il Fondo per le politiche a favore di persone disabili, in Lombardia di quasi 17 milioni di euro per il 2022 che ad oggi però non sono ancora stati ripartiti fra i territori. A riprova che la centralizzazione unita alla frammentazione ha un impatto negativo sui territori. Secondo Fabio Pizzul, fra i tanti problemi delle politiche sociali lombarde bisogna annotare anche la voucherizzazione. “Dote scuola e dote sport ad esempio. Vengono offerti direttamente ai cittadini dei voucher da spendere ma senza che ci sia un accompagnamento delle famiglie per capire quale sia il loro effettivo bisogno. E poi come fanno i cittadini a sapere che ci sono dei bandi a cui rivolgersi per chiedere i voucher? “Insomma, da una parte la Regione fa fatica a far arrivare in tempi brevi le risorse ai servizi sociali comunali e dall’altra crea un meccanismo diretto dei voucher rivolti ai cittadini, senza una presa in carico di chi dovrebbe accompagnarli. “La verità vera è che il piano socio-sanitario non è integrato e non esiste: l’ultimo approvato è del 2016. La giunta procede con le delibere per ripartire risorse con zero programmazione. Non danno soldi a Comuni per incassare consenso elettorale”, aggiunge ancora la consigliera Rozza. “Ho visto delle Ats occuparsi anche di sostegno all’affitto. Ecco perché è impossibile ricostruire la spesa sociale lombarda. Si mescolano le carte”. E nel frattempo noi ci chiediamo perché mai un’azienda ospedaliera lombarda debba occuparsi del contrasto alla povertà, come emerge dalla delibera approvata nel maggio scorso sugli indirizzi di programmazione socio-sanitaria (“La Lombardia nel 2022 sarà impegnata, in collaborazione con gli uffici di piano, le ATS e la ASST, nella programmazione integrata e trasversale di politiche di intervento finalizzate a contrastare il rischio di povertà, bullismo, disagio adolescenziale”). Morale: qualcosa non quadra nel quadro delle politiche sociale.

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