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“Il Terzo polo deve puntare sulla propria autonomia politica”. Parla Sergio Scalpelli

Fabio Massa

Gran conoscitore della Milano politica e tessitore di rapporti, Scalpelli è uno degli “ideologi” from behind dell'alleanza tra Azione e Italia viva a Milano. "Il Pd non può pensare di riproporre un campo largo come lo aveva inteso Letta dopo la caduta del governo Draghi. Perché è evidente che il Terzo Polo e i 5s sono alternativi”. Acqua e olio

Acqua e olio non si possono mischiare. Azione-Italia Viva e il M5s sono, nominalmente e anche più, acqua e olio. Resta da capire che ruolo potrebbe avere il Partito democratico, che fino a qualche anno fa era un punto di attrazione per tutti, e che adesso invece sembra più disperso di un profugo in mezzo al mare. Anche per questo Pierfrancesco Maran e tutti i suoi amici riformisti del Pd, con l’aggiunta dei cattolici, continuano a insistere per fare le primarie per le Regionali: non è solo un modo per provare a contendere la Regione al centrodestra, ma anche e soprattutto un modo per ritrovare se stessi in una terra piena di insidie. Due su tutte: il M5s ancora non irrilevante in Lombardia e Calenda-Renzi altissimi nei grandi centri lombardi, e pronti a mettere radici. “Le primarie sono l’unica carta che il Pd può giocarsi per mantenere una centralità nella partita politica odierna”, spiega Sergio Scalpelli.

 

Gran conoscitore della Milano politica e tessitore di rapporti, Scalpelli è uno degli “ideologi” from behind del Terzo polo sotto la Madonnina. Sempre alla ricerca del riformismo perduto, l’opzione Terzo polo gli pare il Santo Graal tanto inseguito, e Milano la città perfetta. “Vorrei precisare che il concetto di base di ogni mio pensiero è che il Terzo polo deve difendere con le unghie e con i denti la propria autonomia e la propria centralità politica”, ripete Scalpelli. Nel senso che lo ripete più volte, all’inizio, al centro e alla fine del suo ragionamento. Che parte dall’analisi della sconfitta del Pd. “Le elezioni politiche dicono due cose. La prima è che dopo il grandissimo successo dell’ottobre 2021, alle Comunali,  nelle politiche 2022 si è dimostrato che l’elettorato liberaldemocratico e riformista, appena ha avuto una offerta seria come di Renzi e Calenda, l’ha presa al volo. Il Terzo polo è oggettivamente la terza forza politica lombarda, e in certi capoluoghi di provincia addirittura la seconda”. Quale altra cosa ci dicono le elezioni politiche? “Il Pd si trova in una situazione complessa a Milano pur avendo un risultato più accettabile che nel resto d’Italia. Il problema è che il Pd non può pensare di riproporre un campo largo come lo aveva inteso Letta dopo la caduta del governo Draghi. Perché è evidente che il Terzo Polo e i 5s sono alternativi”. Acqua e olio. “Tenderemo a lavorare negli ampi spazi che ci sono tra centrodestra e centrosinistra, per proteggere e rafforzare la nostra autonomia politica. Sia per l’elettorato riformista in crisi all’interno del Pd, sia per l’elettorato di centrodestra in uscita da Forza Italia, noi siamo un’alternativa. Ma dico di più: c’è una parte del blocco elettorale della Lega in libera uscita”. Riformisti leghisti? Ci sono? “Eccome. O meglio, c’erano. La grande forza della Lega in Lombardia era giocata sul trinomio federalismo, autonomia e battaglia fiscale. Salvini ha tradito tutti e tre questi concetti, e c’è quindi un potenziale elettorato che può essere catturato da una proposta limpidamente liberale”. 

 
Insomma, il Terzo polo pensa a ballare da solo. E infatti il capogruppo di Azione in Consiglio regionale, Nicolò Carretta, ha detto chiaro e tondo no alle primarie e pure che i calendiani avranno un nome entro Natale. “E’ un modo elegante e astuto per prendere tempo e per evitare che il Terzo polo corra rischi. Che sono due, nella fattispecie: il primo è farsi irretire dal dibattito che Maran ha coraggiosamente posto, perché vuole chiaramente l’alleanza con noi. Maran è bravo, e sa che alla fine opterà per questo piuttosto che per il campo largo. L’altro rischio è lo scontro tra Moratti e la Lega: dobbiamo preservare la nostra autonomia in uno scenario che per almeno un paio di mesi ci deve garantire una certa libertà di manovra”.

 
E quindi Moratti? “In più di un’occasione è sembrato quasi un destino che una iniziativa autonoma di Letizia Moratti abbia come punto di caduta naturale il Terzo polo. Non è un tema di simpatia personale, anche se ho molto rispetto per Letizia Moratti. E’ un tema di politica. E politicamente è interessante perché se al centrodestra levi 8-10 punti – come potrebbe fare Moratti – allora la sua candidatura sarebbe un’operazione che cambia i rapporti di forza. In questo momento un centrodestra compatto non avrebbe rivali, ma un centrodestra che perde la Moratti riapre la partita. Fare errori da parte del centrosinistra in una dimensione come quella che si potrebbe aprire sarebbe esiziale. Anche perché, diciamocelo francamente, il centrosinistra non vede palla da trent’anni in Regione”. Ma il Pd potrebbe mai accettare una candidatura Moratti? “Ritengo di no”. Ancora, acqua e olio. “Ma le incognite sono tante. La prima è lapalissiana: non si sa se ci sarà la candidatura. Poi: quale profilo politico assumerebbe? E’ chiaro che la premier in pectore preferisca la Moratti a Fontana, ma è anche chiaro che una messa in discussione della Lega in Lombardia non sarebbe un attacco a Salvini, sarebbe uno sfregio alla Lega. Meloni non ne avrebbe alcun vantaggio”. Ma torniamo al Pd. “E’ al limite della tragedia, del compimento di una storia – importante –  lunga 15 anni. La sua crisi è vasta: crisi di proposta politica, di qualità del gruppo dirigente, di autonomia. Sono quasi pronto a scommettere che anche su una posizione perfettamente azzeccata da Enrico Letta come il sostegno all’Ucraina ne vedremo delle belle, appena partirà questo vomitevole – e la prego di scrivere “vomitevole” – schieramento pseudo-pacifista. Il Pd deve scegliere che profilo avere. Anche perché se il voto a Renzi e Calenda fosse stato irrilevante, sotto il 5 per cento, avrebbe saputo che cosa fare. Ma il Terzo Polo ha una percentuale accettabile in Italia e assai alta al Nord. Il Pd è al bivio se ritrovare un chiaro profilo riformista, o dare la leadership a Giuseppe Conte”. Una opzione che fa tremare i polsi a sindaci come Del Bono e come Gori, ma che produrrebbe cambiamenti anche a Milano. “Il voto del Terzo Polo alle politiche a Milano è la somma della lista civica di Sala e dei Riformisti, a Bergamo c’è la questione della lista Gori. Che ha ragione quando parla di di tenuta globale. Ma Renzi e Calenda vogliono l’indipendenza del Terzo polo e questa deve essere preservata. A volte l’acqua e l’olio fanno fuoco e fiamme.
 

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